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Tumore alle vie biliari, scoperto il meccanismo che ne alimenta la progressione

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Figura 1

Si chiama PDGF-D ed è responsabile della formazione del tessuto fibroso che facilita la crescita e la metastasi del tumore alle vie biliari. Un team di ricercatori delle Università di Milano-Bicocca e di Padova ne ha scoperto il ruolo e come inibire la sua azione.

Milano 24 settembre 2013 - Il suo nome è Platelet-Derived Growth Factor-D ed è il responsabile della formazione del tessuto fibroso che facilita la crescita e la metastasi del tumore alle vie biliari. I ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e di Padova ne hanno scoperto il ruolo e hanno capito come inibirne l’azione.

Lo studio, pubblicato sul numero di settembre della rivista Hepatology (http://dx.doi.org/10.1002/hep.26384), dimostra che le cellule tumorali producono un fattore di crescita, chiamato appunto PDGF-D, che stimola il richiamo attorno alle masse neoplastiche di fibrolasti – responsabili della fibrosi tumorale – e di altre cellule mesenchimali, che sono in grado di favorire la crescita e la capacità invasiva delle cellule tumorali.

 

Alla ricerca, condotta nei laboratori diretti da Mario Strazzabosco presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia Interdisciplinare dell’Università di Milano-Bicocca, e nei laboratori di Luca Fabris del Dipartimento di Scienze Chirurgiche Oncologiche e Gastroenterologiche dell'Università di Padova, è stata dedicata la copertina di Hepatology e un editoriale di accompagnamento.

I ricercatori ipotizzano che i farmaci in grado di interferire con la forazione del tessuto fibroso peritumorale potrebbero rallentare sia la crescita sia la metastatizzazione di questo tipo di tumore. 

«Il colangiocarcinoma – spiega il professor Strazzabosco - rappresenta una delle più aggressive neoplasie maligne dell’apparto digerente. Si tratta di un tumore primitivo del fegato che origina dalle vie biliari, le strutture che servono a trasportare la bile dal fegato all’intestino. Il colangiocarcinoma risponde poco alla chemioterapia e l’intervento chirurgico, l’unica possibilità curativa, è proponibile in pochi pazienti, in quanto, al momento della diagnosi, sono spesso già presenti metastasi linfonodali. Capire quindi quali siano i meccanismi molecolari che favoriscono questa precoce metastatizzazione, è fondamentale per individuare nuovi bersagli e nuove strategie terapeutiche».

Figura 2

Una delle caratteristiche del colangiocarcinoma è la presenza all’ interno del tumore di aree di fibrosi molto estese, densamente popolate da cellule chiamate “fibroblasti associati al cancro” (CAF). «I “CAF” - dice il professor Fabris - nutrono le cellule tumorali cui inviano segnali cruciali che ne favoriscono la crescita e la disseminazione. Noi li abbiamo studiati e siamo riusciti a dimostrare che i CAF vengono richiamati dalle stesse cellule tumorali mediante la secrezione di un fattore di crescita, il PDGF-D, che agisce attivando una serie di segnali intercellulati, appartenenti alla famiglia delle Rho GTPasi e del JNK e per i quali sono noti inibitori specifici».

«Abbiamo potuto infatti dimostrare – aggiunge Massimiliano Cadamuro, co-autore dell’articolo di Hepatology  - come il meccanismo di comunicazione tra cellule tumorali e CAF possa essere specificamente bloccato da farmaci in grado di inibire i vari segnali coinvolti. I nostri studi sulle ricadute terapeutiche di questa scoperta continueranno quindi con la prospettiva di trovare nuove possibilità di trattamento per questa forma di neolpasia».

 

Figura 1     
I fibroblasti associati al tumore (CAF) che, nel colangiocarcinoma, circondano le cellule tumorali  alle quali sono praticamente addossati, vengono reclutati grazie alla produzione da parte delle cellule tumorali di un fattore di crescita, il PDGF-D, che funge da stimolo per la migrazione dei CAF.

Figura 2
Sezioni istologiche di colangiocarcinoma umano, che mostrano la reciprocità di espressione di fattori di crescita e recettori sulle cellule tumorali e sui CAF. In particolare si nota come le cellule tumorali esprimano il PDGF-D (in giallo D), mentre i CAF esprimono il relativo recettore PDGFRβ (in rosso, F). 

 

Ufficio Stampa
Università di Milano-Bicocca

Flash News


Tout a commencé avec le bar rayé. Pendant deux ans, les scientifiques ont étudié environ 50 poissons, perforant et mettant en pièces des centaines d’écailles avant de les analyser au microscope afin de mieux comprendre leurs propriétés et leur mécanique. «?Les poissonniers devaient se demander ce que nous fabriquions avec tous ces bars», affirme François Barthelat en esquissant un léger sourire. Le Pr Barthelat, qui enseigne au Département de génie mécanique de l’Université McGill, n’est pas le seul à se tourner vers la nature pour trouver des solutions aux problèmes techniques auxquels les scientifiques sont confrontés. Depuis plusieurs années, il cherche à reproduire avec son équipe le type de protection et la flexibilité offerts par les écailles de certains animaux. Leur objectif : concevoir des gants de protection résistants aux perforations tout en étant assez souples pour être utilisés par les travailleurs industriels. Après cinq ans de labeur, ils pensent avoir touché au but.

En fait, c’est une analyse plus approfondie des écailles de l’alligator gar qui a permis aux chercheurs de trouver la solution.

Dans les petits pots, les meilleurs onguents
Les chercheurs ont été en mesure d’élucider d’importants mécanismes grâce auxquels les écailles de poisson peuvent se déformer, interagir entre elles et se briser. Ils ont mis au point une technique permettant de couvrir de grandes surfaces au avec des tuiles de céramique disposées se chevauchant. À l’aide de modèles informatiques, les scientifiques ont pu déterminer la taille et la forme idéales des pièces de céramique ainsi que la disposition et le type de chevauchement optimaux de ces dernières pour la conception de gants de protection beaucoup plus résistants aux perforations que les gants actuels.

«?Les écailles de poisson nous ont étonnés?», révèle Roberto Martini, boursier postdoctoral et auteur principal d’un article sur les résultats de ces travaux publié récemment par l’équipe de chercheurs. «?Cela peut sembler paradoxal, mais nous avons découvert que les plus petites écailles sont plus difficiles à perforer, phénomène que des études techniques nous ont permis d’élucider. Nous avons également découvert que les écailles de poisson constituent les structures à base de collagène les plus résistantes que nous connaissons.?»

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