In data 19-03-2007
COMUNICATO STAMPA SISSA
Anno 4
Edizione Marzo 2007
L’imitazione è un importante processo di apprendimento, il più economico. Osservare
un modello e riprodurne l’azione è una capacità innata nell’uomo, però, in seguito a
una lesione cerebrale dell’emisfero sinistro si può assistere a una riduzione drammatica
della capacità di riprodurre i gesti osservati. Questo deficit è noto col nome di aprassia.
Un team di ricercatori, coordinati da Raffaella Rumiati della Sissa, ha condotto una
ricerca neuropsicologica con pazienti con aprassia, come illustrato nell’articolo
pubblicato sulla rivista americana Brain, che valida il modello cognitivo di imitazione a
due vie e con il quale dimostrano come il test da loro impiegato sia più sensibile a
individuare il deficit aprassico.
La ripetizione di un’azione, cioè, può essere perseguita in due modi: imitando il gesto senza pensare a ciò che si sta facendo, senza alcuna attribuzione di significato attraverso una conversione automatica (via diretta o non semantica), oppure riconoscendo l’azione grazie alle conoscenze pregresse, recuperando le informazioni corrispendenti all’input e implementandole nell’output motorio (via semantica)». Se sono azioni note si attivano quindi le rappresentazioni immagazzinate nella memoria semantica, se sono invece gesti nuovi si utilizza una via di elaborazione automatica al fine di riprodurre l’azione.
In condizioni normali, gli individui sani usano ambedue questi processi per riprodurre i movimenti. In chi, invece, ha subito una lesione può succedere che una di queste strategie venga meno, perchè in parte segregate in alcune regioni del cervello che una volta lese fanno saltare questo meccanismo di imitazione. Normalmente, negli individui destrimani, il controllo del movimento finalizzato è a carico dominante dell’emisfero sinistro (corteccia motoria primaria, corteccia paretiale, corteccia premotoria, gangli della base), ma lo studio di Alessia Tessari, Nicola Canessa, Maja Ukmar e Raffaella Rumiati permette di distinguere le regioni comuni alla capacità imitatoria da quelle specifiche per il tipo di movimento da imitare.
«Finora in Italia – continua la neuroscienziata - si è usato un test pubblicato nel 1980 da De Renzi e colleghi, in cui al paziente si chiede di copiare 24 gesti simbolici e non (noti e non), presentati di tre in tre in un’unica lista. Questo tipo di somministrazione mista dei due tipi di stimoli non permette di mettere in evidenza un eventuale deficit della » via diretta o semantica, nonostante i due processi abbiano elaborazioni indipendenti. Per questo noi proponiamo di valutare i deficit aprassici utilizzando una prova in cui i gesti riconoscibili e quelli senza senso siano presentati in due liste separate».
Sottoposto a un’unica lista di stimoli, il paziente cerebroleso infatti tende ad attivare la strategia diretta, più economica, che gli consente - come una sorta di pilota automatico - di copiare tutti i tipi di gesti, sia quelli che conosce sia quelli che non conosce. Così facendo, però, qualora il soggetto avesse lesa propria la via diretta, finirebbe con l’eseguire in modo poco accurato anche i gesti riconoscibili che al contrario potrebbe imitare per la via semantica.
«Individuare selettivamente il tipo di errore che il paziente commette – conclude Raffaella Rumiati - è determinante per capire quali aspetti dell’organizzazione del gesto sono stati intaccati dalla lesione, cioè serve per fare una diagnosi più accurata. Allo stesso tempo serve per verificare la bontà di un modello dell’organizzazione del gesto».
Ufficio Comunicazione SISSA
Simona Regina
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