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“Cacciatori prima della storia”

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Tracce antiche in riva al lago scomparso: il sito preistorico di Palù Echen. 

Si conclude venerdì 10 settembre la campagna di scavo che la sezione di Paleontologia Umana e Preistoria del Museo Tridentino di Scienze naturali ha condotto in località Palù Echen, nell’Altopiano di Folgaria

Dal sito sono emerse numerose tracce di storia antichissima; protagonisti, i membri di una piccola comunità familiare, giunti sul luogo nell’estate di migliaia di anni or sono. L’operazione parte qualche anno fa con il rinvenimento, al margini della strada che attualmente costeggia la torbiera, di un paio di selci di piccole dimensioni (3-4 centimetri). Cominciano le indagini, che permettono agli archeologi di affermare che tra gli 11mila e i 12mila anni fa, vicino alle sponde di quello che un tempo fu un lago, un gruppo di cacciatori nomadi decise di costruire un piccolo accampamento stagionale. Non erano in molti. Probabilmente si trattava di un nucleo familiare che, durante la bella stagione, si era spinto sull’Altopiano alla ricerca di selvaggina. Il loro riparo era presumibilmente una tenda provvisoria, con una struttura fatta con pali di sostegno e coperta con pelli o frasche. Nel sito è stato trovato un masso di porfido, che poteva servire come punto di sostegno o di appoggio: una sorta di versione preistorica del moderno picchetto da tenda. “Le prime campagne di scavo, effettuate sulla sponda dell’antico bacino lacustre a poca distanza dal sito in cui stiamo lavorando”, spiega Giampaolo Dalmeri, conservatore della sezione di Preistoria del Museo e scopritore del sito, “hanno portato alla luce frammenti di denti di grandi erbivori, cioè cervi e stambecchi, e di qualche carnivoro, come lupi e volpi”. Nell’area attualmente investigata, resti di animali macellati non ne sono stati rinvenuti; anche se supponiamo di essere di fronte ad un episodio di insediamento preistorico unico, organizzato in aree di uso specializzate”.  La fauna ritrovata ci presenta un quadro paleoambientale piuttosto variegato: non una tundra fredda legata alla fine degli eventi glaciali ma già un ambiente forestale piuttosto evoluto.. La tecnica di scavo e di selezione molto accurata, che permette di recuperare tutto ciò che è più grande di un millimetro,  ha portato alla raccolta di centinaia di manufatti in selce; tra questi sia i residui della scheggiatura sia gli strumenti in pietra utilizzati dagli antichi frequentatori. L’insieme di questi strumenti, adatti a tagliare e incidere i prodotti della caccia, presentano forme del tutto analoghe a quelle rinvenute in altri insediamenti del territorio (si pensi al celebre Riparo Dalmeri e agli analoghi siti vicini a laghi o torbiere a Terlago, Andalo e Viotte), che si presume siano stati i luoghi di permanenza stagionale di tutto il clan; anche il ritrovamento di una certa quantità di carboni da focolare confermerebbe questa ipotesi. Gli elementi emersi in altri scavi presenti sul territorio provinciale ci dicono che le popolazioni di cui oggi studiamo le tracce praticavano il culto dei morti ed erano in grado di creare oggetti artistici (come le pitture con l’ocra rossa). Ma c’è di più. “Dopo anni di indagini e continui nuovi ritrovamenti”, conclude Dalmeri, “siamo sempre più convinti che il nord-est dell’Italia abbia svolto un ruolo importante nel popolamento umano successivo all’ultima glaciazione". I mammut e gli alci nelle Prealpi, le “mandrie” di stambecchi dei territori montani, la disponibilità di selce per confezionare armi da getto e strumenti da taglio per il trattamento del cacciato sono elementi che per alcuni millenni hanno costituito per i clan di cacciatori preistorici un mix perfetto di ambiente e risorse. Non solo: le pietre dipinte di Riparo Dalmeri sull’Altipiano di Asiago e la sepoltura con corredo della Val Cismon ci parlano di ritualità e sciamanesimo. Un campo di indagine ancora molto promettente che vede il Museo Tridentino impegnato con passione e competenza. Per saperne di più, nella sede centrale, in via Calepina, sono esposte le testimonianze di questa fase fondamentale dell’evoluzione tecnica e culturale dell’uomo preistorico.  

Flash News

In data 14.03.07
di Veronica Rocco

  Anno 4
Edizione Marzo 2007


Le ricerche condotte dall’ISPAAM (Istituto per il Sistema Produzione Animale in Ambiente Mediterraneo) del CNR di Sassari hanno messo in luce proprietà inedite di un fiore che da secoli, nell’immaginario collettivo occidentale, incarna il simbolo del culto dei morti. Secondo quanto emerge dagli studi dell’Istituto sassarese, il foraggio ricavato dal Chrysanthemum coronarium L. risulta particolarmente gradito agli ovini, nei quali stimolerebbe la produzione di latte. Inoltre, il crisantemo continua a fornire copiose quantità di foraggio anche durante la stagione primaverile, a differenza di altre specie da pascolo, il cui valore nutritivo si riduce notevolmente alla fine dell’inverno.
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