L'Anno Internazionale della Patata: il 2008 celebra le virtù del tubero più famoso del mondo
“La patata rappresenta la quarta coltivazione mondiale dopo riso, grano e mais, con una produzione annuale di oltre 300 milioni di tonnellate. È coltivata in oltre 300 paesi, dalle Ande all’altopiano dello Yunnan in Cina, dai bassopiani subtropicali dell’India alle pianure del Nord Europa fino alle steppe dell’Ucraina”. A parlare è NeBambi Lutaladio, esperto FAO che coordina l’Anno Internazionale della Patata 2008. L’iniziativa, promossa dall’ONU, mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del Solanum tuberosum per l’economia e la sicurezza alimentare mondiale.
Di fronte ad un’inflazione galoppante e ad una crescita demografica che mette in ginocchio le economie “deboli” dei paesi in via di sviluppo, la patata diventa una speranza concreta di fronteggiare le grandi sfide del XXI secolo: l’acqua e la terra. A differenza dei più nobili cereali, come il granoturco, il riso e il mais, la produzione della patata non risente dei capricci del mercato internazionale perché i prezzi di solito dipendono dai costi locali di produzione. La Cina, che attualmente è il primo produttore al mondo di patate, ha proposto di destinare a questa coltivazione la maggiore quantità possibile di terreni rurali; l’India ha intenzione di raddoppiarne la produzione interna.
Questo tubero all’apparenza modesto, così schivo da preferire la terra alla luce del sole, in realtà non ha nulla da invidiare ad altri ortaggi, rispetto ai quali ha anche qualche pregio in più: è più nutriente (ben l’85% della pianta è commestibile, contro il 50% dei cereali), più veloce da coltivare, richiede meno terra e cresce anche in condizioni climatiche proibitive per qualsiasi altra pianta.
A differenza dei cereali, che hanno bisogno di molte cure (semina, trebbiatura, mietitura, lavorazione, impasto, cottura al forno), la patata conserva fino in fondo un legame viscerale con la Terra: i tuberi vengono dissotterrati e bolliti in acqua per essere già pronti al consumo. Secondo Michael Pollan[1] , il frumento rappresenta il regno dell’apollineo, razionale dominio dell’uomo sulla natura, mentre la patata è il simbolo del dionisiaco disordine della terra, della sua insaziabile voracità.
Le radici
La patata vanta origini antiche. Le prime coltivazioni risalgono a circa 8000 anni fa, su un altopiano di 3.800 metri vicino al lago Titicaca, al confine tra Bolivia e Perù. Alle antiche popolazioni andine spetta la palma d’oro di coltivatori di patate, con oltre 200 diverse specie dalle forme più bizzarre e fantasiose. I contadini delle Ande riuscirono a far crescere le loro patate in zone impervie e in condizioni climatiche spesso proibitive: una delle specie da loro create, ad esempio, sopravvive ai ghiacci della tundra alpina, a 4.300 metri di altitudine.
Gli Incas
L’impero Incas ebbe origine nel 1.400 e nell’arco di un secolo diede vita al più vasto impero pre-colombiano dell’America latina, che si estendeva dall’Argentina alla Colombia. La patata, che ancora oggi le popolazioni andine chiamano “Mama Jatha”, ossia madre della crescita, era alla base della loro dieta e della loro economia, oltre a costituire un’ eccezionale fonte di nutrimento per i soldati durante i periodi di guerra e di conquista. Gli Incas ne coltivarono quasi tremila varietà diverse, “rosse, rosa, gialle e arancioni (…) lisce, color ruggine, resistenti alla siccità (…) o dalla consistenza quasi burrosa”[2] .
La conquista spagnola e l’importazione in Europa
La patata comparve in Europa dopo la conquista spagnola del Perù, che nel XVII secolo distrusse la civiltà Incas. Venne coltivata per la prima volta nelle Isole Canarie, suscitando la curiosità di botanici ed erboristi, ma l’entusiasmo scemò rapidamente perché si diffuse tra gli europei la credenza che la patata provocasse lebbra e comportamenti immorali; inoltre, non era menzionata nella Bibbia e proveniva dell’America, un paese incivile. Insomma, ce n’era abbastanza per ripudiarla. I primi estimatori del Solanum tuberosum furono i marinai, che ne apprezzarono le qualità nutrizionali durante i lunghi viaggi per mare. E’ così che il tubero approdò in India, in Cina e in Giappone.
Le carestie nell’Europa continentale
Bisogna aspettare quasi duecento anni, prima che la patata si conquisti un posto sulla tavola dei “sospettosi” consumatori europei.
Nel 1770 l’Europa continentale venne colpita da una devastante carestia; di fronte alla distruzione di interi raccolti cerealicoli, la patata diventò un “bene-rifugio”, un alimento completo e nutriente, ma soprattutto resistente ed estremamente adattabile. Federico il Grande di Prussia ne ordinò una coltivazione intensiva nel suo regno e i contadini russi, che fino ad allora chiamavano la patata “mela del Diavolo”, cominciarono a coltivarla su larga scala. Le qualità della patata vennero a poco a poco riconosciute: alimento ricco, energetico, facile da coltivare, a buon mercato, veloce da cuocere. In Irlanda, un’isola dove i cereali stentavano a crescere e dove l’esercito di Cromwell aveva espropriato buona parte dei contadini delle proprie terre per darle ai latifondisti inglesi, la patata trovò il terreno adatto per prosperare.
Il fallimento della monocoltura
Irlanda, 1846
“Il 27 dello scorso mese andai da Cork a Dublino, e questa pianta dal destino segnato prosperava in pieno rigoglio promettendo un abbondante raccolto”
“Tornando indietro il 3 [agosto] vidi con dolore una vasta distesa di vegetazione in putrefazione…”. Questi appunti appartengono a Padre Mathews e furono scritti dopo la terribile carestia del 1846-48, quando le piantagioni di patate in Irlanda vennero colpite dal parassita della peronospora o “ruggine della patata”. In tre anni morì un milione di irlandesi. Le cause del disastro sono tante: fattori climatici, criteri di distribuzione delle terre, sfruttamento da parte degli inglesi.
Era una catastrofe annunciata, ma a provocarla non fu la patata, bensì la monocoltura. Il più grande esperimento di monocoltura mai tentato nella storia, non solo portò gli irlandesi a dipendere dalla patata per la propria sopravvivenza, ma addirittura da un solo tipo: la Lumper.
Quello che gli europei del XVIII e del XIX secolo non compresero e che invece gli Incas avevano intuito perfettamente è che la monocoltura è il nemico numero uno dell’agricoltura. Le patate coltivate in Europa e in Nord America, infatti, appartenevano a poche varietà molto simili fra loro ed erano quindi più vulnerabili alle malattie. La grande catastrofe che si abbatté in Irlanda fra il 1845 e il 1848 convinse i coltivatori europei a rinunciare alla monocoltura e a produrre tuberi più forti e resistenti
Il XX secolo e la patatina Mc Donald’s
Nel 1957 i fratelli Mc Donald’s, fondatori di una catena di ristoranti negli Stati Uniti, investirono milioni di dollari per realizzare il prototipo della “perfetta patatina fritta”, il croccante bastoncino dorato che ogni giorno coccola milioni di consumatori in tutto il mondo. Quello che forse non tutti sanno è che le patatine Mc Donald’s, croce e delizia della globalizzazione dei gusti e dei sapori, sono “progettate” per essere tutte assolutamente e meravigliosamente identiche fra loro. La Monsanto, che ha l’esclusiva sulla produzione di patatine Mc Donald’s, coltiva un’unica varietà di patata, la New Leaf, un vero portento dell’ingegneria genetica. Essa, infatti, contiene una tossina batterica, il bacillus thuringiensis (Bt), normalmente presente nel terreno, che annienta in pochissimo tempo uno dei più temibili nemici della patata, la dorifora, un parassita in grado di distruggerne le foglie nell’arco di una notte. Insomma, la New Leaf è un tubero geneticamente modificato per produrre il proprio insetticida. Come tale, è dotato di brevetto, ma – fatto assai curioso – è sprovvisto di un’etichetta che ci informi delle modificazioni genetiche, pur essendo regolarmente registrato come pesticida presso l’Environmental Protection Administration degli Stati Uniti[3].
Un po’ di genetica…
Ci sono due modi per inserire geni estranei in una pianta: infettarla con un agente patogeno che penetra nel nucleo della cellula e ne sostituisce il DNA con il proprio, oppure “sparare” i geni in una pianta con una pistola genetica. Il primo metodo si rivela più efficace con le patate, mentre il secondo è più adatto al frumento. I risultati, però, non sono scontati. L’imprevedibilità di questo tipo di operazioni prende il nome di “instabilità genetica” e indica gli effetti inattesi che i geni possono causare nel nuovo ambiente. Inoltre, la sicurezza di una pianta geneticamente modificata non garantisce la sicurezza di quella successiva, poiché ogni pianta conserva una combinazione di fattori genetici unica ed esclusiva.
L’inquinamento biologico
Uno degli aspetti più controversi delle colture geneticamente modificate è l’inquinamento biologico, che, a differenza di quello chimico, è più pericoloso perché si autoriproduce: una volta che il transgene viene introdotto nell’ambiente, esso non potrà essere eliminato del tutto: diventerà parte integrante della natura. Nel caso della patata New Leaf, la forma di inquinamento più evidente sarebbe la nascita di insetti resistenti al Bt. E’ per questo motivo che la Monsanto ha deciso di riservare una piccola parte delle sue piantagioni di patate a varietà tradizionali, dove insetti e parassiti trovano ancora una loro “nicchia” ecologica e l’evoluzione darwiniana non è costretta ad attivarsi per sviluppare insetti e parassiti super resistenti. Questo non vuol dire che il gene della resistenza non si svilupperà mai, ma semplicemente che ritarderà la propria comparsa.
Note:
[1] Michel Pollan, “La botanica del desiderio. Il mondo visto dalle piante”, Il Saggiatore, 2005
[2] Ibid.
[3] Ibid.
Veronica Rocco