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Una seria minaccia alla produzione ittica mondiale: la pesca illegale

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Una seria minaccia alla produzione ittica mondiale: la pesca illegale

Effettuare attenti sopralluoghi sulle navi che richiedono il diritto di attracco, intensificare le misure di controllo delle imbarcazioni nei porti di approdo, ispezionare le stive per verificare che la documentazione, il carico e le attrezzature utilizzate siano conformi alle norme di sicurezza. Queste, in estrema sintesi, alcune delle raccomandazioni contenute nella bozza elaborata dalla Commissione Pesca della FAOi, alla quale hanno partecipato 132 delegazioni dei Paesi membri con l’obiettivo di raggiungere un accordo internazionale di lotta alla pesca illegale. 

Secondo un rapporto pubblicato dalla FAO nel 2003, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, meglio conosciuta con l’acronimo inglese IUU (Illegal, Unreported, Unregulated), rappresenta una seria minaccia per la produzione ittica mondiale, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove la pesca spesso costituisce la principale risorsa economica ed occupazionale.

Pescare senza regolari permessi, usare attrezzature non certificate o addirittura fuori legge, catturare specie protette o troppo giovani, non rispettare le quote di cattura, sono solo alcune delle più frequenti violazioni rilevate dalla FAO nella sua inchiesta.

Delle 82 nazioni interpellate dalla FAO sul tema della pesca illegale, il 76% ha risposto di tenere costantemente aggiornati i registri delle navi che operano all’interno delle acque territoriali. Trentadue Paesi, inoltre, hanno dichiarato di non rilasciare i permessi alle imbarcazioni con un passato di pesca illegale alle spalle.

Se è vero, tuttavia, che la maggior parte dei Paesi intervistati sembra avere il pieno controllo sulle operazioni di pesca effettuate dalle proprie navi in acque internazionali, risulta che solamente il 61% di questi Stati svolge controlli altrettanto rigorosi sulle imbarcazioni straniere che chiedono l’autorizzazione di catturare in acque territoriali.

Un altro dato interessante riguarda la pesca d’alto mare. Oltre un terzo delle navi che pescano stock ittici presenti quasi esclusivamente in acque extraterritoriali, ossia a 200 miglia dalla costa, ammette di non fornire alcun tipo di informazione sull’entità del proprio pescato. Questo aspetto è tanto più preoccupante in quanto è proprio nelle zone d’alto mare – soprattutto nell’Atlantico e nel Pacifico - che si rileva la più alta percentuale di specie marine che rientrano nella categoria dello ‘sfruttamento in eccesso [1]. Tra queste basti ricordare gli squali oceanici, il nasello, il merluzzo bianco, l’halibut, il tonno rosso. Secondo i dati riportati dalla FAO [2], il 25% di tutti gli stock marini monitorati sono risultati o sfruttati in eccesso (17%), o depauperati (7%) o in fase di recupero (1%).

La bozza di accordo sul controllo delle navi da parte dello Stato di approdo prevede, fra l’altro, una specifica formazione degli ispettori incaricati di svolgere i sopralluoghi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove - come osserva Judith Swan del Dipartimento Pesca della FAO – cresce l’esigenza di avere personale più preparato, attrezzature più efficienti e maggiori finanziamenti per il monitoraggio, il controllo e la sorveglianza della pesca.

Per rispondere a queste specifiche esigenze è nato il programma Fish Code della FAO, che organizza periodicamente cicli di seminari pratici in varie parti del mondo con l’obiettivo di migliorare la comunicazione tra le autorità regionali, armonizzare i controlli portuali, favorire la circolazione delle informazioni sui trasgressori e quindi svolgere una verifica puntuale sul passato delle navi che approdano, respingendo le richieste di autorizzazione delle imbarcazioni inserite nella ‘black list’ della pesca illegale.

Fra il 2007 e il 2008 le commissioni FAO dovranno occuparsi di molti ‘punti caldi’, fra cui redigere le linee-guida per la pesca d’alto mare, dettare delle norme sui limiti della pesca nelle aree protette al fine di salvaguardare la biodiversità degli ecosistemi marini, valutare i possibili effetti dei cambiamenti climatici sulla pesca.

Note: 

[1] Secondo la definizione della FAO, si verifica uno sfruttamento in eccesso quando “la pesca è sfruttata ad un livello superiore a quello giudicato sostenibile nel lungo periodo, senza alcun margine per un'espansione ulteriore e con grande rischio di depauperamento ed esaurimento degli stock”.

[2] “Lo Stato della Pesca e dell’Acquacoltura nel mondo”, in www.fao.org

Veronica Rocco

 

 

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