In una fase politica quanto mai complessa nei paesi situati sulla sponda meridionale del Mediterraneo, i cui eventi non possono non coinvolgere l'Europa, è fisiologico che ci si interroghi sulle capacità dell'Unione Europea di rispondere concretamente e di realizzare una politica estera comune.
Per creare un momento di riflessione sui progressi che l'integrazione dell'Unione Europea sta compiendo relativamente alla sua azione esterna, il 23 febbraio appena trascorso, l'organizzazione INTERSOS ha organizzato un incontro dal titolo: ”Verso una reale diplomazia europea o verso 27 diplomazie nazionali più una? Il ruolo del nuovo Servizio Europeo di Azione Esterna(SEAE)”.
All'incontro, nella sede romana di INTERSOS, organizzazione umanitaria nata nel 1992, ha preso parte l'Onorevole Roberto Gualtieri, parlamentare europeo delegato alle negoziazioni per l'istituzione del SEAE.
Dopo un breve intervento introduttivo da parte del Dottor Nino Sergi, Presidente di INTERSOS, che ha soffermato la propria attenzione sulla necessità di fare chiarezza sulle evoluzioni istituzionali europee dopo la firma del Trattato di Lisbona, la parola è passata all'On. Gualtieri. Il parlamentare europeo si è dichiarato consapevole dell'immagine non sempre positiva che le istituzioni europee trasmettono ai cittadini dell'Unione, una istituzione ancora percepita come distante dalle esigenze delle persone. La mancanza di linee guida comuni, specie nella politica estera e nei rapporti diplomatici con gli Stati terzi rispetto all'Unione, rappresenta una delle carenze maggiori, secondo l'On. Gualtieri, ed una delle sfide più complesse per il futuro dell'integrazione continentale.
Non può che convenirsi con l'enunciato dell'On. Gualtieri. Infatti, come in passato era già avvenuto nelle crisi dei Balcani, anche in occasione dell'attuale crisi che ha investito i Paesi compresi tra la penisola arabica e l'Oceano Atlantico, le istituzioni europee non sono state in grado di offrire una risposta comune, tempestiva e forte, come tutti avrebbero auspicato.
Una posizione presa di concerto sarebbe stata più idonea per differenti ragioni. La prima ragione è relativa all'immagine ed alla percezione che l'UE avrebbe potuto offrire di sé, sia ai propri cittadini sia al resto della comunità internazionale che ancora non considera l'Unione come un soggetto unico, se si esclude la politica monetaria. Occorre poi ricordare che diversi Stati europei (Italia, Francia, Inghilterra e Germania su tutte, ma non solo), sono paesi che hanno segnato la storia recente degli Stati di quell'area con un pesante retaggio del passato coloniale.
L'Europa avrebbe dovuto dare una risposta più incisiva di fronte allo spargimento di sangue di questi giorni.
Ma la ragione principale per la quale ci si attendeva una risposta comune da parte europea è perchè in gioco vi sono interessi comuni.
Il rischio che milioni di individui siano determinati a partire per paura della violenza perpetrata in questi giorni da parte dei regimi, è quanto mai concreto.
Individui, spesso giovanissimi, pronti a lasciare tutto, a volte niente, per intraprendere un viaggio pericolosissimo e dai costi economici altissimi, verso un ignoto che appare comunque più rassicurante rispetto alla realtà quotidiana.
Una emergenza umanitaria cui, anche per espressa richiesta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Europa deve saper dare una risposta concreta e soprattutto in linea con i principi ed i valori democratici di cui essa si considera portatrice fin dalla sua nascita. La soluzione di respingimento dei rifugiati appare una via non percorribile sia dal punto di vista giuridico, per le Convenzioni che i singoli Stati europei hanno ratificato; sia dal punto di vista pratico perchè il problema verrebbe solo posticipato e forse aggravato assumendo aspetti ancora più drammatici per la sicurezza dei cittadini europei.
Tale risposta comune è però mancata. Gli interessi dei singoli Stati, spesso dettati da strategie energetiche e aderenti alle tradizionali linee d'azione delle relazioni tra gli Stati ed al principio di non ingerenza nelle questioni interne ai paesi in stato di crisi, hanno prevalso ancora una volta sulla solidarietà, sul coraggio, sulla giustizia e sulla tutela dei diritti umani.
In un contesto tanto complesso l'On.Gualtieri ha ritenuto opportuno precisare che qualsiasi giudizio sull'efficacia del SEAE, istituito con il Trattato di Lisbona entrato in vigore il primo gennaio 2009, è del tutto prematuro. Il Servizio Europeo per l'Azione Esterna, costituito legalmente per affiancare l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, non è pienamente operativo. Il suo organigramma, che prevede circa 8000 funzionari facenti parte del Consiglio, della Commissione e dei Servizi diplomatici nazionali, è ancora provvisorio.
A tali problematiche di natura organizzativa va poi aggiunta una capacità propositiva da parte di Catherine Ashton, attuale Alto Rappresentante degli Affari Esteri, talvolta ritenuta non adeguata, ed un sistema istituzionale che pone al centro gli interessi dei singoli Stati a scapito di quelli dell'Unione.
Secondo quanto affermato dall'On. Gualtieri non bisogna, però, sminuire i risultati raggiunti con il Trattato di Lisbona.
Tale Trattato ha infatti modificato il precedente sistema dei tre pilastri dell'Unione: politiche comunitarie, politica estera e cooperazione giudiziaria, istituendo un nuovo sistema nel quale tutte le politiche svolte dall'Unione sono poste sotto un “frontone” unico, rappresentato dai principi e dai valori dell'Unione Europea. In questo modo, modificando gli articoli 40 e 47 del precedente Trattato di Amsterdam, si è rafforzata la Politica europea di sicurezza comune (PESC), garantendole una maggiore coerenza nei fini. Non solo. La scelta di conferire un doppio ruolo all'Alto Rappresentante degli Affari Esteri, che è infatti anche Vicepresidente della Commissione Europea, nominato dal Parlamento, garantisce una simbiosi maggiore tra la PESC e la politica generale dell'Unione Europea. Con il Trattato di Lisbona, poi, è stato rafforzato il ruolo del Parlamento europeo, rendendo necessario l'avvio di Consultazioni con quest'ultimo quando si renda necessario l'avvio di una missione nell'ambito della Politica Comune di Sicurezza e di Difesa (PESD). Gli oneri di tali missioni non saranno più' presentati complessivamente ma in maniera distinta per ciascuna missione, rendendo più efficace la funzione di controllo da parte del Parlamento stesso.
É in questa chiave che va considerata l'istituzione del Servizio Europeo di Azione Esterna. Un servizio che si propone di creare una cultura diplomatica comune richiedendo la collaborazione di funzionari che fino ad ora hanno posto in essere strategie politiche differenti. Il SEAE dovrà divenire uno strumento agile che opera in favore delle istituzioni europee, in grado di monitorare le aree di crisi, saper prendere delle decisioni adeguate rispetto alle esigenze della politica internazionale ed intervenire per realizzare una politica esterna conforme ai principi e valori dell'Unione Europea. É lecito ritenere dunque che il SEAE non dovrà solo monitorare le situazioni di crisi ma anche realizzare una progettazione strategica di medio-lungo termine, facendo tesoro delle differenze che esistono tra le tradizionali politiche diplomatiche di tutti gli Stati che costituiscono l'Unione.
Affinchè ciò si realizzi sono però necessarie due condizioni. La prima è che gli Stati pongano come propri rappresentanti all'interno del SEAE personalità politiche forti in grado di difendere le scelte del Servizio stesso al cospetto delle diplomazie nazionali.
La seconda condizione, che appare logicamente ineludibile, e' che il processo di integrazione proceda verso il rafforzamento della cooperazione militare, per dotare l'Unione di uno strumento di rapido intervento, capace di agire efficacemente nelle aree di crisi.
Solo in questo modo l'Europa potrà proporsi alla Comunità Internazionale nel ruolo che le è proprio, quello di potenza civile, portatrice di principi e valori, nel pieno rispetto dei diritti umani.
Fabrizio Giangrande