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Doping e fitoterapia: le piante che fanno vincere le Olimpiadi

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Effetto doping. Le piante che fanno vincere le Olimpiadi

Si allungano le ombre nere del doping su questa XXIX edizione dei Giochi Olimpici, inaugurata ieri allo stadio olimpico di Beijing, in Cina. Andrea Baldini, punta di diamante della scherma italiana, è risultato positivo ad un diuretico, il furosemide, durante un controllo antidoping svoltosi in occasione degli ultimi campionati europei di Kiev.

Il doping di nuova generazione deve garantire prestazioni eccezionali e sfuggire a controlli sempre più rigorosi. Come? Internet offre agli atleti le scappatoie più impensabili. Una di queste è accessibile sul sito www.thewhizzinator.com, dove si può acquistare alla modica cifra di 150 dollari un kit completo di organo genitale artificiale in cinque diverse tonalità e una panciera con sacca incorporata, contenente urina liofilizzata “limpida e pura” come acqua di sorgente. Per quanto l’idea possa sembrare risibile, sono in tanti a “testare” il kit e a inviare agli autori del sito messaggi entusiastici – e rigorosamente anonimi - per essere riusciti a eludere i controlli anti-doping con questo curioso camouflage.

Ma è sempre vero che le sostanze dopanti sono difficili da nascondere? Secondo Fabio Firenzuoli, presidente dell’Associazione Italiana Medici fitoterapici, esistono sostanze capaci di garantire performances degne di un campione e di “scomparire” senza lasciare tracce*. Non stiamo parlando di Epo di terza generazione, assicura Firenzuoli, bensì di piante note alla farmacopea cinese sin dall’antichità e oggi ampiamente usate dagli atleti. La pianta più diffusa nella storia del doping, infatti, viene proprio dalla Cina, si chiama Efedra (Ephedra sinica) e contiene molte sostanze di tipo anfetaminico, tra cui l’efedrina. Il vantaggio? non lascia traccia nelle urine. Un’altra pianta che aumenta sia le prestazioni sportive che quelle sessuali è il Tribulus terrestris, che moltiplica l’attività per i recettori degli androgeni. Anche in questo caso, il test antidoping risulta negativo.

Alcune piante, definite “fantasma”, agiscono indirettamente sugli ormoni, mantenendoli più a lungo in circolazione: l’ormone dura di più ma, come per magia, le urine ne trattengono solo piccolissime quantità. E’ il caso della radice di liquirizia, che agisce sul metabolismo degli steroidi. Effetti molto simili sono presenti anche in sostanze alimentari comunemente usate in Cina, come il pepe del Sichuan ((Zanthoxylum schinifolium) e il Ganoderma Lucidum, un tipo di fungo con funzione tonica. L’efedrina, un tempo impiegata per i suoi effetti dimagranti, oggi è proibita perché considerata sostanza dopante. Al suo posto si utilizza la molecola di sinefrina, ricavata dalla scorza dell’arancio amaro e contenuta negli integratori “termogenici”, ossia quelli che riducono la massa grassa e potenziano la struttura muscolare agendo sul metabolismo.
Tutte queste sostanze – sottolinea Firenzuoli – anche se di origine naturale, possono essere dannose per la salute dell’organismo se utilizzate in modo improprio: la sinefrina, ad esempio, può avere effetti negativi sul cuore degli atleti ed è sconsigliata anche nei casi di obesità, ipertensione e cardiopatia. 

Pare che l’espressione inglese “to dope” derivi da una parola africana che significa “pozione”, alludendo evidentemente alle qualità miracolose che si attribuiscono a questo tipo di sostanze. Nell’età classica il doping era una pratica largamente diffusa tra i guerrieri, che appunto cercavano la “pozione magica” per diventare più forti e sconfiggere i nemici in battaglia. E’ curioso che in America il termine “doping” si sia affermato inizialmente con finalità opposte a quelle cui siamo abituati oggi: nelle corse truccate, infatti, i cavalli venivano drogati per non vincere le gare.

Il doping comincia ad essere praticato sistematicamente in campo sportivo a partire dalla fine dell’800, man mano che maturano le conoscenze farmacologiche. Nel 1896, durante la gara Bordeaux-Parigi, muore d’infarto il ciclista Arthur Linton a causa di una overdose di stimolanti. Nel 1904 si verifica il primo caso di doping “in diretta”: nei Giochi Olimpici di Saint Louis, l’inglese Thomas Hicks vince la maratona, ma durante la competizione sviene per ben due volte. Il suo allenatore, per rianimarlo, gli inietta un milligrammo di solfato di stricnina e gli fa ingoiare un sorso di cognac, all’epoca ritenuto un efficace stimolante.

In Italia la prima definizione ufficiale di doping risale al 1962, quando la Federazione Medico Sportiva Italiana dichiara che il doping è “l’assunzione di sostanze dirette ad aumentare le prestazioni in gara del concorrente, pregiudicandone la moralità e l’integrità psico-fisica”. Tre anni dopo, il Belgio sarà il primo paese a promulgare una legge contro il doping. In Italia dobbiamo aspettare il 2000 per vedere la prima legge mirata contro l’assunzione di sostanze dopanti.

* La notizia è tratta dal comunicato stampa dell’ANMIF-Ospedale S. Giuseppe-Empoli, “Doping sicuro: le piante per vincere alle Olimpiadi”. (150 dollari).

Veronica Rocco

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