Antartide: sotto i ghiacci alla scoperta della biodiversità
“E’ talmente grave il pericolo che si corre nel riconoscere una costa in questi mari gelati e sconosciuti, che io oso asserire che nessuno potrà mai penetrare più in là di quanto mi venne concesso e le terre che possono trovarsi al sud non saranno mai toccate da piede umano”.
Era il 1774 e il grande navigatore inglese James Cook, al comando dei velieri Resolution e Adventure, fu il primo ad oltrepassare il circolo polare antartico. Quando scrisse queste parole, però, non sapeva che dopo di lui molti altri uomini si sarebbero avventurati nel “cuore bianco della Terra”.
Dumont d’Urville, James C. Ross, Carl Larsen, Eric von Drygalski, Sir Robert Scott, Roald Amundsen, Sir Ernest Shackleton. Questi sono solo alcuni dei nomi che hanno indissolubilmente legato la propria fama alle più importanti spedizioni in Antartide. La storia di queste esplorazioni è una storia fatta di eroismo e di orgoglio nazionalistico, di spirito d’avventura e di tragiche sconfitte: “Non è facile scrivere con questo freddo, 70 gradi sotto zero e nulla con cui ripararci tranne la nostra tenda (…) per quattro lunghissimi giorni siamo stati in balìa di una terribile tempesta di neve. Perduta ogni speranza. Abbiamo deciso di non darci la morte ma di lottare fino alla fine per raggiungere la base. Grazie a questa lotta avremo una fine priva di dolore, perciò non ti preoccupare” [1]. E’ la primavera del 1912 quando il capitano Robert Falcon Scott scrive questa lettera alla moglie Kathleen, sapendo che sarà l’ultima, perché il freddo, la fame e la stanchezza hanno ormai fiaccato le sue forze e quelle dei pochi uomini rimasti al suo fianco. Il “cuore bianco della Terra” lo ha sconfitto. Vinto dalla natura, ma anche dall’uomo. Il norvegese Roald Amundsen, infatti, raggiunse il Polo Sud il 14 dicembre del 1911, un mese prima che Scott piantasse la bandiera britannica accanto a quella norvegese [2].
Sono passati quasi 100 anni dalla storica conquista del Circolo Polare Antartico, ma il “sesto Continente” non ha mai smesso di affascinare scienziati ed esploratori di tutto il mondo. Oggi, l’ultimo posto sulla Terra ad essere stato esplorato rappresenta anche l’ultima grande speranza di salvezza per il nostro pianeta. Non a caso il 2007/2008 è stato battezzato “Anno Polare Internazionale”, un programma scientifico di vaste proporzioni, che vede impegnate équipes provenienti da tutto il mondo allo scopo di comprendere gli effetti e le trasformazioni che i cambiamenti climatici avranno sull’ecosistema polare.
Con i suoi quasi 15 milioni di Km quadrati, l’Antartide rappresenta un territorio ancora incontaminato, uno straordinario laboratorio biologico a cielo aperto, unico al mondo, poiché i suoi ghiacci, che possono raggiungere uno spessore di 3,5 Km, risalgono a più di un milione di anni fa e racchiudono preziose informazioni sul passato del clima terrestre. Da quando Jacques Costeau, nei primi anni ’70, esplorò la penisola antartica a bordo della sua Calypso, i ghiacci si sono progressivamente assottigliati e la temperatura media annua ha subito un incremento di 2.5°C.
Il 19 marzo 2002, il National Snow and Ice Data Center annunciò il collasso della piattaforma Larsen B – 500 milioni di tonnellate di ghiaccio per un’area grande quanto la Valle d’Aosta. In meno di 35 giorni, un batter di ciglia se confrontati ai duemila anni di storia che la tenevano ancorata all’Antartide, la banchisa si staccò dal “sesto continente” per poi frantumarsi in una miriade di piccoli iceberg alla deriva nel mare di Weddell. A destare allarme nel mondo scientifico non è tanto il distaccamento della piattaforma, un evento in sé abbastanza fisiologico, quanto la rapidità con cui è accaduto e lo scenario che dischiude: il collasso di Larsen B, infatti, rischia di determinare un aumento della temperatura e quindi il crollo di altri banchi di ghiaccio e il conseguente innalzamento del livello degli oceani.
Uno dei più importanti progetti scientifici [3] previsti per l’Anno Polare Internazionale è il Census of Antarctic Marine Life (CAML). Lo scioglimento di una vasta porzione di ghiaccio antartico, infatti, ha offerto agli scienziati la rara opportunità di esplorare un mondo sommerso, grande quanto la Giamaica, che era rimasto inaccessibile per dodicimila anni, sigillato sotto la coltre di ghiaccio, e che oggi, per la prima volta, si offre vergine allo sguardo attonito dello scienziato. Finora, infatti – come sottolinea Julian Gutt dell’Alfred Wegener Institute for Polar Research – l’unica possibilità che avevano i ricercatori di “sbirciare” gli abissi dell’Antartide era attraverso le trivellazioni.
Le prime ricerche condotte dalla spedizione Polarstern [4] hanno rivelato un mondo marino profondamento trasformato dai cambiamenti climatici.Immersi ad una profondità di 850 metri, gli scienziati hanno esplorato per due mesi e mezzo diecimila Km quadrati di fondale marino alla ricerca di nuove tracce di vita. Hanno raccolto mille esemplari viventi, tra cui 15 specie di crostacei anfipodi finora sconosciuti e 4 nuove specie di celenterati, che hanno rapidamente colonizzato i fondali in seguito alla scioglimento dei ghiacci.
Le acque che circondano Larsen B, benché poco profonde, ospitano diverse specie marine che normalmente vivono a 2000 metri sotto il livello del mare. Ma la scoperta più interessante è stata fatta al largo dell’isola dell’Elefante, dove i ricercatori hanno rinvenuto un crostaceo lungo dieci centimetri, decisamente più grande rispetto ad esemplari provenienti dai mari temperati. Un dato interessante per comprendere la capacità di adattamento dell’ecosistema marino alle mutate condizioni climatiche è la presenza di balene Minke. Questi cetacei sono stati attirati al largo della penisola antartica dalla presenza del Krill [5] – elemento essenziale per la loro sopravvivenza – che a sua volta si nutre di alghe.
Ma qual è la portata e la valenza scientifica di questo progetto di “censimento marino dell’Antartide”? Come spiega Gauthier Chapelle [6], l’osservazione, l’analisi e la classificazione delle specie marine attualmente presenti in un luogo finora inesplorato, è un’opportunità unica per prevedere quali cambiamenti subirà l’ecosistema polare nei prossimi venti anni e in che misura questi mutamenti saranno influenzati dal surriscaldamento terrestre.
Note:
[1] Le lettere che Scott scrisse alla famiglia durante la spedizione in Antartide sono state rese pubbliche per la prima volta il 17 gennaio scorso e sono attualmente esposte allo Scott Polar Research Institute Museum.
[2] Per una storia delle spedizioni in Antartide rimando agli articoli di Bruno Marsico (Consorzio per l'attuazione del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide-PNRA SCrl): Alla scoperta dell’Antartide-I in Scienzaonline, 17 Marzo 2005, Anno II Numero 14; Alla scoperta dell’Antartide-II in Scienzaonline, 17 Aprile 2005, Anno II, Numero 15; Alla scoperta dell’Antartide-III in Scienzaonline, 17 Maggio 2005, Anno II Numero 16.
[3] Tra gli istituti di ricerca italiani che si occupano di progetti scientifici in Antartide ricordiamo il Consorzio per l’Attuazione del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA S.C.r.l.). Nato nel 2003, comprende: l'Ente per le Nuove tecnologie, l'Energia e l'Ambiente (ENEA), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) e l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). A questo proposito si veda l’interessante articolo di Guido Donati, “Antartica”, in Scienzaonline, numero 6, anno I, 17 Giugno 2004.
[4] Il Polarstern è una nave di ricerca scientifica progettata in Germania per l’impiego nei mari polari. Con oltre 20 spedizioni al suo attivo dal 1982 ad oggi e con i suoi 53 scienziati di 8 Paesi, il Polarstern è considerata la nave più specializzata al mondo. E’ in grado di operare a -50°C e di attraversare anche 1,5 m di spessore di ghiaccio ad una velocità di 5 nodi. Naviga da novembre a marzo nelle acque dell’Antartide e dispone di nove laboratori attrezzati che consentono di svolgere un’ampia gamma di attività di ricerca.
[5] Il krill riveste un ruolo fondamentale nella catena alimentare dell’Oceano Antartico ed è al centro di un progetto chiamato LAKRIS, nato con lo scopo di studiare il ciclo vitale, la distribuzione e la fisiologia delle popolazioni di krill nel mare di Lazarev. La presenza massiccia di krill in queste acque confermerebbe la capacità di adattamento di questi crostacei ai mutamenti climatici.
[6] Biologo marino presso l’Alfred Wegener Institute for Polar Research.
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Veronica Rocco