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Scoperte in Afghanistan antiche testimonianze della pittura

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Gli affreschi di Bamiyan: scoperte in Afghanistan antiche testimonianze della pittura ad olio sulla Via della Seta

Risalgono al VII secolo d.C. e sono la prima testimonianza dell’utilizzo della pittura ad olio. Lo ha rivelato uno studio condotto dal National Research Institute for Cultural Properties di Tokyo, che da alcuni anni è impegnato nella delicata opera di restauro degli affreschi di Bamiyan, in Afghanistan, rinvenuti nelle cinquanta piccole caverne che circondano le enormi statue del Buddha, distrutte dai Talebani nel 2001. Gli affreschi, che ritraggono il Buddha nella posizione del Loto, sono probabilmente opera di anonimi viaggiatori lungo la Via della Seta.

Per poter effettuare il recupero, gli scienziati hanno bisogno di conoscere l’esatta natura dei pigmenti di colore utilizzati per dipingere le pareti delle grotte. Con l’ausilio di sofisticate tecniche di analisi spettroscopica, tra cui la micro fluorescenza ai raggi X e la micro rifrazione ai raggi X, hanno potuto analizzare nel dettaglio la composizione delle particelle prelevate dalle pareti delle caverne. I raggi sono prodotti dal sincrotrone e funzionano come un microscopio ad alta precisione, che grazie all’intensità del raggio riesce ad analizzare piccolissimi frammenti di materiale. La difficoltà dell’analisi dipende soprattutto dalla particolare tecnica con cui sono stati realizzati gli affreschi, ossia per sovrapposizione di strati sottili, ognuno dei quali è composto da una combinazione di sostanze organiche e inorganiche. Gli scienziati erano quasi increduli di fronte ai risultati dell’analisi: gli affreschi, risalenti al VII secolo d.C., sono stati realizzati utilizzando la pittura ad olio, una tecnica pittorica che finora si è creduto fosse nata in Europa molti secoli più tardi. Gli scienziati non sembrano avere dubbi sulla natura dei pigmenti: si tratta di pigmenti ad olio, probabilmente estratti da noci e semi di papavero, mescolati con altre sostanze piuttosto comuni all’epoca, come il vermiglio (solfuro di mercurio) e il bianco (carbonato di piombo), oltre a resine naturali, gomme ed estratti di pelli, uova etc.

L’utilizzo di pigmenti ad olio nelle caverne di Bamiyan sorprende soprattutto perché è una tecnica difficile, che richiede molto tempo prima di asciugarsi – e per questo era poco utilizzata dai pittori più antichi; inoltre, rischia di avere vita breve in un ambiente umido e ricco di batteri come quello delle caverne. A chi sostiene che potrebbe trattarsi di contaminazioni con sostanze applicate successivamente, gli scienziati replicano che le tracce di pigmenti a olio sono state rinvenute negli strati più profondi dell’affresco, quindi quelli più antichi, escludono quindi che possa trattarsi di semplice contaminazione. La scoperta, se confermata, getterebbe una nuova luce sull’arte dell’Asia centrale, di cui si conosce ancora molto poco, come ammette Yoko Taniguchi, la ricercatrice giapponese che ha analizzato gli affreschi di Bamiyan. Non solo, il sorprendente stato di conservazione di queste opere, realizzate con colori ad olio, permetterebbe agli scienziati di scoprire qual è il metodo più efficace per preservare le opere d’arte.

Veronica Rocco

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