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Sacchetti di plastica addio

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WWF: “DOPO 50 ANNI LA RIVINCITA DELLA SPORTA ECOLOGICA”

A conti fatti la busta usa e getta fa male all’ambiente e al portafogli     L’era del sacchetto di plastica per la spesa, inquinante e non sostenibile, si è finalmente conclusa. Il 2011, con il divieto di ‘circolazione’ dei sacchetti non biodegradabili per ‘l’asporto delle merci, per il WWF segna un punto di svolta poiché dopo 50 anni si prendono la rivincita quegli strumenti utilizzati dalle nonne come le sporte in tela, i carrelli della spesa, le retine che hanno tutte il pregio di poter essere riutilizzate infinite volte a beneficio dell’ambiente e del portafogli.     Il 1957, infatti, è la data che segnò l’inizio dell’era del sacchetto di plastica, prodotto per la prima volta negli Stati Uniti. Ne hanno decretato il successo le qualità peculiari: leggero, resistente, economico, conveniente per portare generi alimentari, vestiario e altri acquisti. I sacchetti di plastica ancora oggi sono tra gli oggetti di consumo più diffusi sulla Terra. Un peso di soli pochi grammi e una media di pochi millimetri di spessore, i sacchetti di plastica potrebbero sembrare completamente innocui se non fosse che vengono prodotti a partire dal petrolio e in quantità incredibili. Fabbriche in tutto il mondo sfornano circa 4-5.000 miliardi di buste di plastica l’anno, un quarto dei quali viene prodotto in Asia, contribuendo a immettere in atmosfera tonnellate di emissioni di carbonio ogni anno.

“L’Italia ha il record nei consumi delle buste di plastica, con oltre il 25% del totale dei sacchetti consumati nell’Unione Europea, corrispondenti a 260.000 tonnellate di plastica (poco meno di  400 sacchetti di plastica a testa) – ha dichiarato Eva Alessi, responsabile sostenibilità del WWF Italia - I sacchetti usa e getta sono oggetti che hanno avuto negli anni  un pesantissimo impatto ambientale: a fronte di una vita media di utilizzo di circa 20 minuti impiegano molti secoli per essere degradati rilasciando sostanze tossiche e bioaccumulabili nell’ambiente che contaminano acque e suoli ed entrare nelle reti alimentari del pianeta. Le alternative ci sono, pratiche e convenienti sia per l’ambiente che per il portafogli. E’ solo questione di abitudine”.     L’addio allo shopper di plastica è stato salutato con favore dal WWF che da anni promuove e appoggia iniziative volte a proporre soluzioni di riduzione dei rifiuti e alternative alla sporta di plastica con sporte “durevoli” in cotone e altri materiali.  La soluzione, infatti, sta nell’abolire o ridurre al minimo le sporte usa e getta e privilegiare sempre oggetti che abbiano invece caratteristiche di riutilizzabilità. Nel 2009 il WWF ha scelto, ad esempio, di accompagnare la catena di grande distribuzione Auchan nel processo di sostituzione dei sacchetti di plastica a favore delle borse cabas riutilizzabili, distribuite alla clientela presso i 51 punti vendita con la produzione di materiali informativi  (leaflet e panneli in tutti i punti vendita ) volti a sensibilizzare il grande pubblico sulla necessità di anticipare, attraverso sane abitudini d’uso individuali, l’entrata in vigore della normativa comunitaria disciplinante il bando dei sacchetti in polietilene. Da giugno 2009 a luglio 2010 il progetto ha fatto  risparmiare  all’ambiente 30 milioni di shopper grandi in polietilene e 180 milioni di sacchetti piccoli, per un totale di 1458 tonnellate di plastica, pari a una superficie di 45mila chilometri quadrati (circa due volte la superficie della Toscana). Il WWF ha patrocinato e appoggiato anche iniziative esterne, quali “Porta la Sporta” promossa dall’Associazione Comuni Virtuosi per invogliare cittadini e amministrazioni a ridurre l'uso della plastica.     Secondo i dati dello State of the Word 2010 sono 1,9 i milioni di chili di plastica che finiscono ogni ora negli oceani del pianeta dove vengono scambiati per cibo da diverse specie marine, particolarmente da quelle che si nutrono di meduse o calamari, prede che somigliano ai sacchi di plastica quando galleggiano in acqua. Tra le numerose specie minacciate sicuramente le tartarughe marine e i mammiferi marini.

Flash News


Al biologico, che copre quasi il 15% delle superfici agricole italiane, va meno del 3% dei finanziamenti europei e nazionali

In occasione del SANA, presentato il dossier alla Festa del Bio a Bologna

Nei nostri campi, chi inquina viene pagato. È all’agricoltura che utilizza pesticidi, diserbanti e fertilizzanti sintetici che va la quasi totalità delle sovvenzioni europee e nazionali: in sostanza, i soldi pubblici servono per sostenere l’utilizzo della chimica di sintesi. La politica agricola comunitaria sovvenziona infatti per il 97,7% l’agricoltura convenzionale. E quando ai fondi Ue si aggiungono anche quelli italiani, il risultato non cambia: al biologico, che rappresenta il 14,5% della superficie agricola coltivata del nostro Paese, va il 2,9% delle risorse. Anche senza tirare in causa i costi consistenti che l’utilizzo della chimica di sintesi e quindi l’inquinamento provocano sulla nostra salute e su quella dell’ambiente, è evidente che si tratta di una palese inversione della regola “chi inquina paga”.
È quanto emerge dal Rapporto “Cambia la Terra. Così l’agricoltura convenzionale inquina l’economia (oltre che il Pianeta)” presentato oggi alla Festa del BIO che si tiene a Bologna in occasione del SANA, la fiera del biologico italiano, da Maria Grazia Mammuccini, responsabile del progetto Cambia la Terra- FederBio; Susanna Cenni, Vicepresidente Commissione Agricoltura Camera; Giorgio Zampetti, Direttore Legambiente; Franco Ferroni, Responsabile Agricoltura WWF; Fulvio Mamone Capria, Presidente LIPU; Lorenzo Ciccarese, Ricercatore ISPRA; Patrizia Gentilini di ISDE International Society of Doctors for Environment – Associazione medici per l’ambiente.

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