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Latte e funghi contaminati in Ucraina, a 25 anni da Cernobyl

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A 25 anni di distanza dal disastro di Cernobyl, una nuova ricerca condotta in Ucraina dai nostri esperti di radiazioni rileva alti livelli di contaminazione radioattiva in molti alimenti di base, come latte e funghi. Lo scorso marzo la nostra squadra ha raccolto e analizzato 114 campioni di prodotti alimentari nelle aree di Rivnenska Oblast e Zhytomyrska Oblast e, per confronto, in varie località nell’area di Kiev. I campioni sono stati acquistati nei mercati locali oppure ottenuti dai contadini.

In un villaggio della regione di Rivnenska, abbiamo trovato concentrazioni di Cesio-137 che nel 93% dei campioni di latte analizzati eccedono di un fattore compreso tra 1.2 e 16.3 volte i livelli previsti per i bambini in Ucraina.

Dopo venticinque anni, l’attenzione del mondo si è spostata altrove ma la contaminazione non scompare dall’oggi al domani. In Ucraina, 18.000  chilometri quadrati di terreni agricoli sono stati contaminati in seguito all’esplosione di Cernobyl e si stima che il 40% dei boschi, pari a una superficie di 35.000 km2 , siano contaminati.
Negli anni successivi all’incidente, il governo ucraino ha condotto analisi sui prodotti alimentari delle aree contaminate. Tuttavia, da due anni questo monitoraggio è stato interrotto, impedendo così la creazione di un’importante serie storica di dati.

I risultati delle analisi di Greenpeace, invece, confermano l’urgenza di proseguire con una valutazione approfondita e scientificamente fondata della contaminazione radioattiva dei terreni destinati all’agricoltura e al pascolo nelle aree colpite del territorio ucraino.

A Fukushima stiamo verificando circostanze identiche riguardo alla contaminazione del latte e delle verdure. Se vogliamo evitare disastri futuri quali quelli di Cernobyl e Fukushima, i governi devono interrompere la produzione di energia nucleare e investire nell’efficienza e in fonti rinnovabili pulite e sicure.
 

Flash News

 

Zorro devorando a un Tejón. Imagen captada por las cámaras de los investigadores (UGR).

 Un equipo internacional de investigadores, liderado por la Universidad de Granada, ha explicado por primera vez la base científica del viejo refrán ‘perro no come perro’: para un animal carnívoro, comer carroña de otro carnívoro, especialmente si es de su misma especie, incrementa la probabilidad de contraer patógenos que podrían hacer peligrar su vida. Este trabajo, en el que también participan las universidades de Berkeley (EEUU), Murcia y Miguel Hernández, ha sido publicado en la revista Journal of Animal Ecology y aporta nuevos datos sobre esta idea, cuyo origen se remonta al menos a los tiempos de la antigua Roma (“Canis caninam non est”), y que viene a decir, en un contexto social, que los miembros de un determinado gremio tienden a evitar conflictos entre ellos.

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