Il Pompidou rende omaggio all’avanguardia italiana più esplosiva. Partendo dal suo luogo di presunta origine, Parigi, dove Marinetti fece uscire il primo Manifesto programmatico della poetica futurista. Grande mostra e grandi pecche...
L’intreccio tra l’origine tutta francese e l’appartenenza tutta italiana del movimento ha dato vita a fiumi di inchiostro, versati sopra a presunti “scippi” francesi. Messi da parte nazionalismi e puntualizzazioni filologiche da addetti ai lavori, la mostra al Pompidou semplicemente si limita a ricostruire l’esposizione del 1912 alla Galleria Bernheim–Jeune, con Boccioni, Carrà, Russolo, Severini.
Ponendo a confronto l’origine del Futurismo con il Cubismo, e raccontando ciò che le due poetiche artistiche hanno generato in tutta Europa, influenzandosi, intrecciandosi e trasfigurandosi.
Il curatore della mostra, Didier Ottinger, in nove sezioni racconta con “linguaggio da manuale” il Futurismo italiano, il Cubismo francese suo antagonista, il Cubo-futurismo (il dialogo tra le due correnti), le influenze europee con il Raggismo-Costruttivismo, il Cubismo-orfico, il Vorticismo, concludendo con un'installazione visiva e sonora, commissionata a Jeff Mills, dj di fama, pioniere della musica techno, che mixa in un vortice di rimandi iconografici la dirompenza futurista.
Il “racconto da manuale” si chiude al 1916, quando Boccioni muore, Carrà fugge dal Futurismo, come Severini, e Russolo si dedica alla musica futurista. Il Futurismo viene quindi schiacciato fra il Cubismo e altre filiazioni, presentato solo nei suoi esordi, seppure esaltanti, senza gli sviluppi tematici: una superata visione pitturo-centrica e boccioni-centrica. Carenze ce ne sono anche nella scelta dei temi del catalogo, che occultano il Futurismo nel suo complesso, preoccupandosi dei rapporti col Cubismo e della genesi del Manifesto.
La sezione del Futurismo presenta i capolavori caratterizzati dalle tematiche del primo periodo, la città moderna e le sue illuminazioni elettriche, la danza, il movimento delle folle, le sommosse, le manifestazioni. La sala dedicata al Cubismo, e dunque a Braque, Delaunay, Gleizes, Léger, Metzinger e Picasso, mette in risalto la specificità dell’iconografia cubista: nudi, nature morte, paesaggi, iconografia alla quale i futuristi vanno a contrapporre rapidamente l’immagine della metropoli moderna, dell’automobile, del movimento e dell’energia.
L’esposizione presenta quindi la diffusione europea del Cubofuturismo, che nasce a Parigi dal dialogo tra Futurismo e Cubismo, con le opere dei pittori della Sezione d’oro Raymond Duchamp-Villon, Gleizes, Franticek Kupka, Metzinger e quelle di Francis Picabia e Marcel Duchamp, come il Nudo che scende la scala. Ma anche i lavori dei cubofuturisti russi (Alexandra Exter, Goncharova, Ivan Klioun, Larionov, Malevitch, Liubov Popova, Olga Rozanova) e dei vorticisti inglesi (David Bomberg, Jacob Epstein, Henri Gaudier-Bzreska, Wyndham Percy Lewis, Christopher R. W. Nevinson), nonché le opere orfiche di Robert e Sonia Delaunay e di Léger e quelle dei sincronisti Stanton Macdonald-Wright e Morgan Russell.
I capolavori della mostra del 1912 ci sono tutti, provenienti dai musei di tutto il mondo. Ciò che manca in questo progetto espositivo è la parte socialmente dirompente del Futurismo, con tutti i suoi protagonisti, che si espresse nella globalità delle arti, nel coinvolgimento totale della vita quotidiana in un connubio totalizzante di arte-vita che proseguì fino alla morte di Marinetti nel 1944.
L’auspicio è che le grandi mostre in programma in Italia riescano ad approfondire anche questo trentennio dimenticato. Anche se, dopo Parigi, questa esposizione - in parte rivisitata - sarà presentata alle Scuderie del Quirinale a Roma, curata da Ester Coen, e alla Tate Modern di Londra.
Le Futurisme à Paris
Paris, Centre Pompidou
Fino al 26-01-2009