"Insensate e non lungimiranti" le misure draconiane del governo Berlusconi contro la ricerca scientifica: parola di Nature, che avverte "l'Italia non guardi troppo al passato, ma si sforzi di capire come funziona oggi la ricerca in Europa"
Tempi duri per i ricercatori italiani, alle prese con un governo che non nasconde la sua filosofia di tagli alla spesa pubblica. A discapito, naturalmente, della ricerca scientifica.
E' critica la posizione della prestigiosa rivista americana Nature sulla politica del governo Berlusconi,improntata ad una drastica riduzione dei fondi per l'università.
L'editoriale, pubblicato nell'ultimo numero di Nature, punta i riflettori sul decreto legge del 9 ottobre 2008, che minaccia di mandare a casa circa 2000 precari del mondo accademico. I tagli all'università, sottolinea Nature, serviranno al governo italiano per ricapitalizzare banche e istituti di credito sull'orlo della bancarotta. Non è la prima volta che l'attuale governo di centro-destra prende di mira gli atenei: in agosto, infatti, il presidente del consiglio firmò un decreto per ridurre del 10% i finanziamenti alle università e trasformare gli atenei in fondazioni private.
La rivista americana non risparmia critiche neppure al ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini, accusata di non aver fatto sentire la propria voce e di essersi rifiuata di incontrare docenti e ricercatori per spiegare le ragioni del governo.
E se la Gelmini tace, il ministro della Funzione Pubblica e della Innovazione, Renato Brunetta, definisce i ricercatori "capitani di ventura" e "mercenari rinascimentali", aggiungendo che "stabilizzarli con un contratto a tempo indeterminato è come farli morire". Peccato, osserva Nature, che in Italia il rapporto fra ricercatori precari (la maggioranza) e quelli di ruolo (un'esigua minoranza) sia diventato perverso.
Il governo Berlusconi - conclude l'editoriale - considera la ricerca scientifica alla stregua di una qualsiasi altra spesa da tagliare, senza rendersi conto che "la ricerca è un investimento per costruire l'economia della conoscenza del XXI secolo".
L'Italia sembra non avere ancora le idee chiare su questo punto, visto che da un lato ha sottoscritto il trattato di Lisbona, che impegna i Paesi membri ad investire sulla ricerca e ad aumentarne i finanziamenti al 3% del Prodotto Interno Lordo, dall'altra ha una delle spese più basse in Europa per Ricerca e Sviluppo, appena l'1.1%, ossia meno della metà di Paesi come la Francia e la Germania.
Veronica Rocco
Per approfondimenti:
“Cut-throat Savings”, Nature 455, 835-836 (16 ottobre 2008)
http://www.nature.com/nature/journal/v455/n7215/full/455835b.html