Escluso dal palmares che “conta”, alla 69esima Mostra dell’Arte Cinematografica di Venezia, Bella Addormentata di Marco Bellocchio porta a casa un “premio di consolazione”: il Premio Mastroianni 2012 a Fabrizio Falco ex equo con il film di Ciprì, avendo il giovane esordiente recitato in entrambi. Partiamo dal presupposto che non si tratta di un premio di consolazione ma importante e meritato e arriviamo ad affermare quanto di più ovvio: le giurie non si discutono, non sono depositarie del Verbo ma vanno accettate e rispettate, senza polemiche provinciali e volgari.
Bella addormentata nasce da un cineasta di qualità, Marco Bellocchio, che non ha bisogno di premi, per dimostrare di essere un maestro ma non ha bisogno neppure di scagliarsi contro le gare, per dimostrare il suo talento. Le giurie sono eterogenee e non è possibile incrociare il gusto di tutti. Sedici minuti di applausi sono indicativi, tuttavia, e poco importa se nel primo weekend d’uscita il film non è risultato campione d’incassi, difficilmente lo sono le pellicole che fanno riflettere, che aiutano a ridestano le teste nascoste sotto la sabbia, che affrontano temi scomodi.
La sola colpa di Bellocchio, a mio avviso, se di colpa si può parlare, è stato di aver preso come sottofondo del suo film un fatto di cronaca – il caso Englaro - tra i più discussi e strumentalizzati.
Il film, in verità, tratta effettivamente di dolce morte, di morti viventi, di “addormentati” che sono belli solo agli occhi dell’amore, di disperati che si salvano grazie allo stesso, di temi, in sostanza, che possono benissimo varcare i confini italiani. Il caso di Eluana è quasi pretestuoso, infatti, se non per la sapiente presenza di immagini di repertorio, che non toccano la linea del film, nella sostanza, il quale presenta varie situazioni e varie probabilità di soluzione. È naturale che il regista lo ritrovi nel deputato pidiellino, ex socialista - interpretato da Toni Servillo - il quale non se la sente di votare a favore di un umiliante accanimento terapeutico, specie dopo aver vissuto da vicino quell’esperienza e dopo aver scelto, in quell’occasione, la dolce fine, come risposta coerente ad un immenso atto d’amore.
Toni Servillo, al suo massimo come sempre, Maya Sansa, già affiliata di Bellocchio (Buongiorno notte 2003), che probabilmente meritava la Coppa Volpi ed una Isabelle Huppert perfetta nel ruolo della “Divina Madre”, che pretende il miracolo, pur nell’assenza totale di fede, e che ha strasformato la sua casa in una clinica-chiesa, costringendo il resto della sua famiglia ad adeguarsi alla sua follia. Le scelte non si discutono e vanno rispettate, certo! Purché non ledano gli altri, però. È pur vero che, nel film, gli ortodossi della difesa della vita sono anche i più duri ma, quando si parla di posizione integralista, da qualsiasi fronte questa giunga, sfido chiunque a trovare un’apertura al dubbio e al dialogo, comunque. Maria-Alba Rohrwacher non perdona al padre di aver “staccato la spina” e l’”attrice “che sacrifica la sua carriera, col suo sacrificio giustificato da processioni e rosari vuoti e cantilenanti, perché privi di fede, sacrifica anche quella di suo figlio, benché non dotato dello stesso talento. D’altronde, ognuno difende quello in cui crede e questo è un diritto sacrosanto e basilare di ognuno di noi.
Il regista propone tre situazioni del tutto diverse, arrivando a concludere il film con un’apologia dell’amore, nel nome del quale si può scegliere la fine o la rinascita e non è detto che l’una posizione sia più morale dell’altra, perché entrambe rispondono ad un bisogno intimo, d’amore e di coscienza. Il medico, quando si laurea, è tenuto al giuramento d’Ippocrate e, in coerenza con lo stesso, ha il dovere di salvare la vita, come fa nel film il dottore interpretato da Piergiorgio Bellocchio.
Ma su tutti si libra il personaggio recitato da Roberto Herlitzka, specie nella scena in cui i politici sembrano dei senatori o dei tribuni romani, immersi nei vapori delle terme dai romani d’un tempo molto amate. “I politici sono tutti malati di mente, sono smarriti, depressi, infelici, vagano per il centro senza sapere che fare, sentendosi inutili, terrorizzati dall’idea che la televisione non li chiami più” - sono le parole pronunciate da Herlitzka, nella surreale scena del bagno turco. Il senatore-psichiatra, che ci tiene alla differenza con gli psicologi - infatti, prescrive psicofarmaci, avendone licenza - si burla dei suoi colleghi ed è dotato di un tale, imperturbabile cinismo da essere uno dei personaggi più riusciti del film.
Margherita Lamesta