Le acciaierie di Piombino, gli altiforni incandescenti fanno da sfondo al passaggio nell’adolescenza di due ragazzine, Anna-Matilde Giannini e Francesca-Anna Bellezza, nel film Acciaio di Stefano Mordini, che adatta l’omonimo Premio Campiello di Silvia Avallone. Presente alla sessantanovesima kermesse veneziana, nella sezione Giornate degli Autori, il regista dichiara di essersi lasciato travolgere dalla storia affascinante delle due amichette. Nel catturare un ambiente interiore prima che paesaggistico, il regista, però, non sempre emoziona. Lunga è la descrizione del vuoto esistenziale dei personaggi ma non va mai davvero a fondo. Il film non raggiunge mai il culmine dell’emozione, neppure quando ci scappa il morto sul lavoro.
Le due ragazzine passano le giornate tra il capanno sul mare e i locali notturni, in cerca di una trasgressione e di una visibilità, in una provincia noiosa, seduta su se stessa, senza alternative o vie di scampo. Una prigione in cui persino la vicina Elba è un miraggio. Il passo dalla Lucchesi di Piombino all’Ilva di Taranto è davvero breve, con la differenza, almeno, che la prima ha avuto un atteggiamento ben più rispettoso del territorio rispetto a quanto è accaduto a Taranto, dove si continua a respirare diossina e benzopirene.
Riondino, nella costruzione del personaggio di Alessio, ha potuto confluire in catarsi il suo rifiuto reale per la fabbrica, che ha dato a suo padre il lavoro e a lui la possibilità di sognarne e farne uno diverso. Ne esce una maturità ed una considerazione per l’importanza di quel che si ha, che fanno del personaggio un’icona autentica del senso di responsabilità, sia pur ricco di contraddizioni - Alessio tira di coca e arrotonda come può. Accurata è la descrizione degli ambienti e l’indagine dei turbamenti in atto nell’animo delle due pre-adolescenti, che si servono di poche parole per esprimersi e per capirsi. Purtroppo, il senso di responsabilità incatena Alessio che non vuole né può ambire, sognare, volare altrove. Sia lui che il suo amore Elena-Vittoria Puccini hanno disimparato a pensare a un futuro diverso, o a vedersi protagonisti del cambiamento.
È difficile crescere nel vuoto di un luogo, di un tempo, di una condizione sociale che tutt’e tre insieme portano al distacco da una cultura politica e all’impossibilità di costruirne una cosmopolita, al punto da limitare i sogni e da considerarlo la cosa giusta. Quando i ruoli non sono rispettati ed i padri non sanno fare i padri, qualcuno dovrà pur farsi carico del peso della realtà e se questo tocca ai figli invece che ai padri, dispiace ma a qualcuno deve pur toccare la patata bollente. È grazie a lui che la mamma può tirare avanti ed è grazie e lui che la sorellina potrà avere, forse, qualche chance in più. La luce finale del film è una luce di speranza, che non aiuta a volare ma a guardare appena più in là, riscoprendo, intanto, il valore di quel che sta' accanto. Siamo lontani dai sogni utopistici di Assayas ma ognuno, purtroppo, guarda la vita con gli occhiali che può permettersi.
Margherita Lamesta