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Gli piaci come sei. Perché essere te stesso ai colloqui ti farà ottenere il lavoro

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Ceelia Moore

La prossima volta che dovrai affrontare un colloquio di lavoro, rilassati e cerca di essere te stesso: se sei un buon candidato, potrebbe essere il modo migliore per ottenere il lavoro. In un recente studio sul Journal of Applied Psychology, Celia Moore (Dipartimento di Management dell’Università Bocconi), Sun Young Lee (University College London), Kawon Kim (The Hong Kong Polytechnic University) e Daniel Cable (London Business School) concludono che i candidati di alta qualità che si sforzano di presentare se stessi con precisione durante il colloquio aumentano significativamente la probabilità di ricevere un'offerta di lavoro.

Mentre i luoghi comuni sulla ricerca di lavoro incoraggiano a presentare solo gli aspetti migliori di se stessi per apparire più attraenti agli intervistatori, gli autori di The Advantage of Being Oneself: The Role of Applicant Self-Verification in Organizational Hiring Decisions (doi: 10.1037/apl0000223) concludono che è più vantaggioso presentarsi per come si è veramente, soprattutto nel caso di candidati di alta qualità. Al centro della ricerca è il concetto di autoverifica, il desiderio di presentarsi con precisione, in modo che gli altri si facciano di noi la stessa immagine che abbiamo di noi stessi. Finora si sapeva che l’autoverifica influenza positivamente risultati che si sviluppano nel tempo, come il processo di integrazione in una nuova organizzazione. La ricerca mostra, per la prima volta, che l'autoverifica può avere importanti effetti anche sulle interazioni personali a breve termine, come il processo di assunzione.

Il primo studio utilizza un campione di insegnanti di tutto il mondo alla ricerca di un lavoro negli Stati Uniti e conclude che - per i candidati di alta qualità – una forte propensione all’autoverifica aumenta la probabilità di trovare un lavoro dal 51% al 73%. Il secondo studio conferma questo effetto in un ambito radicalmente diverso: avvocati che fanno domanda per una posizione nelle forze armate statunitensi, nel qual caso i candidati di alta qualità aumentano di cinque volte le possibilità di ricevere un'offerta di lavoro, dal 3% al 17%, se hanno una forte propensione all’autoverifica. Un importante avvertimento: l’effetto si evidenzia solo per i candidati di buona qualità; per gli altri la propensione all’autoverifica può addirittura peggiorare la posizione.

Il terzo studio aveva l’intento di testare il meccanismo che determina questo effetto. Gli studiosi hanno analizzato 300 persone e hanno selezionato quelli con una propensione all’autoverifica molto alta o molto bassa. Questi individui hanno partecipato alla simulazione di un colloquio di lavoro, la cui trascrizione è stata sottoposta a un’analisi del testo. Sono state evidenziate differenze nell'uso della lingua in funzione della propensione dei candidati all’autoverifica. Le persone con una forte propensione parlano di se stessi in maniera più fluida e sono percepite come più autentiche e meno manipolatrici. Il che spiega perché ottengano buoni risultati nel mercato del lavoro. “Usano più parole funzionali (preposizioni, pronomi, verbi ausiliari), che riflettono la fluidità d’esposizione di una persona, e più parole legate alla percezione visiva (come ‘guardare’, ‘vedere’, ‘visione’)”, spiega Daniel Cable.

"In un colloquio di lavoro”, dice Celia Moore, "cerchiamo spesso di presentarci come perfetti. Il nostro studio dimostra che questo istinto è sbagliato. Gli intervistatori percepiscono un'auto-rappresentazione troppo perfetta come inautentica e potenzialmente sviante. In definitiva, se si è un candidato di alta qualità, si può essere se stessi. Si può essere onesti e autentici. E si avranno maggiori probabilità di ottenere un lavoro".

https://www.knowledge.unibocconi.it/notizia.php?idArt=18431

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Résumé graphique de l’étude Wigger et al. 2017 (CC BY 4.0)

 

Plusieurs avancées récentes dans la lutte contre le diabète de type 2 (T2D) résultent d’un projet collaboratif paneuropéen intitulé IMIDIA, dans lequel le SIB Institut Suisse de Bioinformatique est étroitement impliqué depuis 2010. Le SIB était en charge de coordonner la grande quantité de données de patients (au titre de centre de coordination des données, ou CCD), ainsi que de les analyser afin de trouver des biomarqueurs qui permettraient un dépistage précoce de la maladie. Les principaux résultats de cette recherche incluent la découverte de molécules qui pourraient servir de biomarqueurs permettant de détecter le T2D jusqu’à neuf ans avant son diagnostic. Ces résultats ont été compilés dans deux publications marquant la réussite du projet IMIDIA, un partenariat public-privé de l’Initiative en matière de médicaments innovants (IMI), dirigé par Bernard Thorens, de l’Université de Lausanne (UNIL).

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