Bruxelles, cuore dell’Europa, metropoli in perenne cambiamento al passo con le esigenze di un intero continente in cerca d’integrazione e di crescita, è la protagonista del film Welcome home di Tom Heene, presentato al Lido nella sezione Settimana della Critica. Mutante come la città è Lila-Manah Depauw, la giovane che ad un certo punto della sua esistenza sente un desiderio di rinnovamento, nel nome del quale mette in discussione tutto. La normalità-stabilità, invece, è rappresentata da Benji-Kurt Vandendriessche, il ragazzo di Lila, lasciato temporaneamente per tre mesi, che ansioso attende il ritorno della fidanzata. Geloso, ferito, trascurato, egli apre il confronto che si fa sempre più serrato e sfocia in un amplesso dimostrativo della dissociazione sesso-sentimenti, più che dell’amore reciproco, almeno nelle intenzioni di lei.
L’oscillazione tra passato e futuro è sottolineata dall’incontro che la giovane fa di un uomo persiano, Billal-Nader Farman, intenzionato a salutare degli amici conosciuti a Bruxelles, quarant’anni prima, mai più sentiti, eppur sicuro del piacere reciproco di rivedersi. La città di Billal rappresenta il passato, infatti, non esiste più – lui non sa orientarsi, a causa dei radicali cambiamenti architettonici e urbanistici – ma si fonda sulla certezza del rapporto con l’altro, benché illusorio. Il futuro, invece, è insidioso ed ha il volto di cinque funzionari europei, che investono Lila, andando ad una festa. Sono giovani senza scrupoli, mentono alla polizia per non disturbare il loro divertimento. La differenza di classe è qui conclamata e la benché minima possibilità di transizione o di comunicazione tra i vari ambienti è del tutto azzerata. Lei è sull’asfalto ed i cinque, incuranti, vanno per la loro strada.
Amore, sesso, attrazione, indifferenza, oscillazione aspra ed affannosa tra passato e futuro, sono dei propositi nobili ma la resa offre spesso immagini fini a se stesse che non rivelano nulla nè celano qualcosa di più profondo. Pochi personaggi per un film intimo che non apre molto alla riflessione, però. Anche la scena di sesso tra i due innamorati non ha sbavature stilistiche e i due interpreti sono bravi, eppure, risulta lunga e un po’ pretestuosa. Sembrano lontani gli anni in cui Antonioni girava una lunga, sensuale scena con Veruschka, in Blow up. Mantenere un pari livello di sensualità ed eleganza, oltre che di concreta seduzione con l’immagine, è appannaggio esclusivo dei grandi autori e sinceramente non sembra il caso del film, in oggetto.
Margherita Lamesta