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Il Monte Bianco ha dichiarato l’emergenza climatica

L’emergenza climatica viene dunque sancita da un ghiacciaio.

Dirette streaming, giornalisti in loco, abitanti in allarme, e politica che parla dell’importanza di affrontare la questione climatica. Parla, appunto, ma non fa nulla. Perché l’emergenza climatica, secondo la classe politica che governa e ha governato fino ad ora, va affrontata con equilibrio, non sacrificando lo sviluppo e cercando di salvaguardare tutti gli interessi in campo. Riassumendo: secondo chi ci governa l’emergenza climatica va affrontata a parole, ma non con i fatti, altrimenti rischiamo di far innervosire aziende che da anni fanno profitti inquinando la nostra aria, la nostra terra, i nostri mari, il nostro Pianeta. Gli allarmi sul cambiamento climatico sono vecchi di decenni, ma ben poco si è voluto fare.

Non sappiamo cosa succederà al ghiacciaio Planpincieux, speriamo che tutto si risolva per il meglio. Senza dubbio però il problema si riproporrà le prossime estati, anche in altri ghiacciai e in altri luoghi. Ma in ogni caso, l’emergenza climatica in corso porta con sé un monito: è finito il tempo delle parole. È l’ora dei fatti.

Vogliamo provvedimenti concreti, e visto che il ghiacciaio rischia di cadere simbolicamente sulla testa di tutti noi, il governo italiano deve smettere di accumulare promesse, e fare subito quattro semplici cose:

Comunicare il piano di chiusura di ogni centrale a carbone, considerando che tutto il settore chiuderà finalmente i battenti entro il 2025. Occorre chiarire quando ogni centrale terminerà di operare e cosa sarà dell’impianto che si andrà a chiudere: se l’idea è sostituire le centrali a carbone con impianti a gas, significa che ci si sta ostinando a commettere gli stessi gravi errori del passato. Basta fossili!
Azzerare i sussidi alle fonti fossili. Nel decreto clima che si discuterà la prossima settimana dovrebbe esserci la proposta di diminuire i soldi pubblici che finiscono a fonti sporche di energia del 10 per cento ogni anno, per i prossimi 4 anni, per poi azzerarli entro il 2040. Questo, nella migliore delle ipotesi, significherebbe che per almeno altri 20 anni verrebbero finanziati i cambiamenti climatici con i soldi pubblici. È qualcosa che non possiamo permetterci. Occorre un piano che azzeri questi sussidi al massimo entro 5 anni (2025), cominciando ad esempio dai fondi elargiti per attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi. E tutti i soldi risparmiati dovranno essere dirottati su energie rinnovabili e efficienza energetica;
Chiarire come e quando verranno fermate le attività estrattive, specificando che fine faranno le vecchie piattaforme da dismettere. Al momento c’è una moratoria sui nuovi permessi, ma tra pochi mesi questa pausa finirà, e porzioni di mare e territorio del nostro Paese rischiano di finire di nuovo in mano ai petrolieri. Il governo deve indicare chiaramente che i combustibili fossili (gas e petrolio in questo caso) devono rimanere dove sono: sottoterra.
Modificare subito il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Secondo la scienza restano 11 anni per mettere in campo azioni concrete contro i cambiamenti climatici, e 10 di questi 11 anni sono contenuti nel PNIEC che verrà approvato entro dicembre. Non sono ammessi errori, e insistere con un piano miope come quello attualmente in bozza non è tollerabile: servono obiettivi di riduzione delle emissioni più ambiziosi, mentre invece il governo sta puntando addirittura ad aumentare l’uso del gas, un combustibile fossile spacciato come “amico del clima” e che invece emette CO2, alimentando la crisi climatica.

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Flash News

 

Su oltre 800 amministrazioni locali analizzate, la quasi totalità ha implementato strumenti per affrontare i cambiamenti climatici, come piani di mitigazione (66%), di adattamento (26%) e integrati (17%). Lo rivela uno studio internazionale pubblicato su Journal of Cleaner Production al quale ha partecipato l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Cnr di Potenza. I più virtuosi sono i Paesi del Centro e Nord Europa, ma anche in Italia l’impegno è alto grazie al Patto dei Sindaci

Europa promossa sul tema dei piani climatici urbani, cioè i piani di mitigazione che le municipalità possono adottare per contenere le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale e i piani di adattamento per ridurre la vulnerabilità dei territori. Uno studio internazionale al quale ha partecipato per l’Italia l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Imaa-Cnr) di Potenza ha evidenziato, su un campione di 885 città appartenenti a 28 Stati dell’Unione Europea, che il 66% dispone di un piano di mitigazione, il 26% di un piano di adattamento e il 17% un piano clima integrato, che copre entrambi gli aspetti. Lo studio pubblicato sulla rivista Journal of Cleaner Production ha coinvolto un network di trenta ricercatori provenienti da diciassette stati europei coordinati dall’Università olandese di Twente.
“La ricerca mostra una distribuzione disomogenea, con una predominanza di piani climatici urbani sviluppati nell’Europa centrale e settentrionale e nelle città con oltre 500 mila abitanti: l’80% è dotato di piani sviluppati autonomamente o in risposta alla legislazione nazionale in materia, che impone tale obbligo in Danimarca, Francia, Slovacchia e Regno Unito. A influenzare positivamente lo sviluppo di questi strumenti è anche la partecipazione a network europei quali il Patto dei Sindaci (Covenant of Mayors) o progetti internazionali quali Life e Interreg”, spiega Monica Salvia, ricercatrice Imaa-Cnr. “Il 40% delle città analizzate aderisce al Patto dei Sindaci e di queste, il 94% dispone di un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile-PAES”.
“L’elevata adesione a questo network è cruciale anche per allineare i Paesi mediterranei e le città più piccole nell'azione per il clima”, aggiunge Filomena Pietrapertosa, ricercatrice Imaa-Cnr. “In Italia, in particolare, 58 su 76 città analizzate sono firmatarie del Patto dei Sindaci e di queste 56 sono dotate di un Paes (cfr. elenco in calce). Soltanto Bologna e Ancona, però, hanno sviluppato un piano di adattamento nell’ambito di progetti europei (rispettivamente Life Blueap e Life Act) anche se altre città hanno avviato un processo di pianificazione per identificare le vulnerabilità climatiche dei loro territori”.

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