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Il parere di un gruppo di ricerca dell'Università di Parma sulla tossicità del bisfenolo A
L’intervento dei ricercatori in seguito alle recenti notizie sulla presunta tossicità di questa sostanza chimica, presente tra l’altro nella plastica dei biberon
Il GRIDES - Gruppo di Ricerca Interuniversitario su Distruttori Endocrini e Sviluppo neurocomportamentale (di cui fa parte la Prof.ssa Paola Palanza del Dipartimento di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma, insieme a Francesco Dessì Fulgheri dell’Università di Firenze, Francesca Farabollini e Daniele della Seta dell’Università di Siena e Giancarlo Panzica e Carla Viglietti-Panzica dell’Università di Torino), che si occupa da più di 10 anni degli effetti neurocomportamentali del bisfenolo A, sostanza chimica presente nella plastica (anche nei biberon) e nelle resine, è intervenuto nel dibattito scientifico che si è aperto nei giorni scorsi in seguito alle allarmanti notizie diffuse circa la tossicità di questa molecola.
Di seguito il parere del Gruppo di Ricerca:
«Il problema: il bisfenolo A è una sostanza presente nel cibo (perché si trova nei contenitori del cibo), nell’acqua minerale (bottiglie di plastica) ed in moltissimi oggetti di uso comune. E’ molto utilizzato perché non è tossico, non è cancerogeno, non provoca danni durante la gravidanza, se non a dosi molto alte, e infatti vi sono precisi limiti di sicurezza stabiliti. Però ha una struttura simile all’ormone femminile, l’estrogeno (all’origine fu sintetizzato proprio come ormone sintetico), e può quindi interferire con il delicato equilibrio ormonale degli organismi viventi, in particolare durante lo sviluppo fetale, l’infanzia e la pubertà.
Dopo circa 15 anni di ricerche in tutto il mondo, particolarmente negli Stati Uniti, in Giappone e in Italia (condotte proprio dal GRIDES), i risultati sperimentali indicano che i (bassi) livelli di bisfenolo a cui si stima siano esposti donne gravide e feti, bambini e adolescenti, e che sono al di sotto dei limiti di sicurezza suggeriti da varie agenzie internazionali (per es. l’EFSA - Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), producono comunque numerosi effetti sugli animali di laboratorio: sul comportamento e il cervello, la prostata e la ghiandola mammaria, l’inizio della pubertà e la predisposizione all’obesità. Ciò non implica automaticamente che tali effetti siano presenti anche nell’uomo: infatti non ci sono dati scientifici che dimostrino chiaramente effetti negativi (“avversi”) sull’uomo, alle dosi a cui si è esposti attualmente.
Quindi: il bisfenolo fa male alle donne in gravidanza o ai bambini? E’ da eliminare, da ridurre o va bene così? In effetti non lo sappiamo con certezza. E questo è il vero problema. Abbiamo però qualche ragione scientificamente valida di preoccupazione. L’unico modo di rispondere a questa domanda è aumentare la conoscenza, cioè la ricerca scientifica: fare altri esperimenti, comprendere meglio i meccanismi di azione biologica del bisfenolo, trovare eventuali correlazioni tra esposizione ed effetti. La ricerca ha bisogno però di finanziamenti e di ricercatori. E non sembra che questo argomento rientri nelle priorità delle politiche di –scarso- finanziamento alla ricerca scientifica».
www.unipr.it
Parma, 30 aprile 2008
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