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Anno 7 Numero 304

Direttore Responsabile Guido Donati

                        

 

Malattie congenite della coagulazione

Scacco matto all’emofilia e al deficit di “Fattore VII” 

L’ICGEB di Trieste propone terapie geniche innovative 




La lotta alle malattie congenite della coagulazione, come l’emofilia o la deficienza di “Fattore VII”, sta compiendo promettenti passi avanti. E’ quanto emerge dalle ricerche di Franco Pagani del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste, svolte in collaborazione con un’equipe dell’Università di Ferrara, i cui risultati sono appena stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Blood. I ricercatori italiani propongono un nuovo approccio terapeutico ai difetti gravi della coagulazione che possono provocare nei pazienti emorragie talvolta fatali. 
«Il nostro gruppo – spiega Pagani - ha esaminato in particolar modo la deficienza di “Fattore VII”, una malattia genetica più rara dell’emofilia, che può colpire in ugual misura sia uomini che donne e provocare ecchimosi, epistassi, sanguinamento gengivale, menorragie, fino all’emorragia gastrointestinale e cerebrale. Le nostre ricerche si sono concentrate soprattutto su una forma diffusa in Italia centrale che causa una deficienza grave». 
Il “Fattore VII” è una proteina prodotta dal fegato che svolge un ruolo essenziale nell’innesco del processo di coagulazione del sangue e la sua assenza non è compatibile con la vita. La deficienza di “Fattore VII” è causata da mutazioni nei siti genici del DNA deputati a guidarne una corretta sintesi proteica. Durante tale processo infatti, a causa delle mutazioni geniche, viene prodotto un precursore della “Fattore VII” (il “FVII-mRNA”) che presenta una struttura molecolare modificata e, pertanto, non in grado di innescare la sintesi della proteina stessa. Il blocco del normale processo di biosintesi di tale proteina, ne comporta bassissimi livelli nel circolo sanguigno e, conseguentemente, l’insorgenza della sintomatologia tipica di questa malattia.
«Noi siamo andati a intervenire proprio nel meccanismo di produzione del precursore del “Fattore VII” – continua Pagani - ricreando in vitro un modello cellulare che riproducesse a livello molecolare il difetto genico. Siamo poi riusciti a introdurre un gene opportunamente modificato, il “U1-snRNA”, che andasse a sostituirsi ai siti genici mutati e permettesse la produzione di precursori sani e, quindi, la sintesi corretta del “Fattore VII”. Il nostro obiettivo è infatti quello di ripristinare almeno parzialmente il livello ematico di questa proteina, perchè nei pazienti sono sufficienti anche livelli minimi di “Fattore VII” per prevenire i fenomeni di sanguinamento».
Rispetto alle terapie convenzionali, che nella maggior parte dei pazienti sono spesso associate a gravi complicanze, l’approccio terapeutico proposto dai ricercatori italiani presenta notevoli vantaggi perchè garantisce una corretta biosintesi di “Fattore VII” esclusivamente nel fegato, l’organo naturalmente deputato a farlo, e previene potenziali complicazioni immunologiche. 
Questa tecnica, inoltre, trova applicazioni anche per altri difetti ereditari dei fattori della coagulazione, tanto che lo stesso gruppo di ricercatori li sta sperimentando per l’“emofilia B”.
«I risultati finora raggiunti sono decisamente positivi e molto promettenti – conclude Pagani – Al momento stiamo sperimentando questa terapia genica nel modello animale, ma speriamo di poterla provare entro qualche anno direttamente anche sui pazienti».

Ufficio stampa ICGEB: Monica Rio - Globo divulgazione scientifica

Trieste, 11 febbraio 2008


 
                               

 

 

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