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WWF: “Il pacchetto clima è già favorevole per il nostro paese, l'Italia rischia di perdere i vantaggi”
I Paesi dell’Est hanno interessi differenti
La posizione italiana in Europa ostacola le politiche europee sul clima, espone il Paese a una politica fondata su dati e cifre privi di fondamento scientifico e rischia di perdere i vantaggi che la presente proposta di direttiva già riconosce all’Italia. E’ il commento del WWF in occasione dell’annunciato incontro tra l’Italia e la Commissione Europea sui costi del pacchetto clima ed energia.
L’assegnazione degli obiettivi di riduzione ai diversi Stati membri è stata fatta in base alla metodologia risultata più equa ed efficiente per conseguire i necessari tagli alle emissioni. Per le emissioni dei settori industriali compresi nella direttiva sullo scambio delle emissioni (ETS) – il termoelettrico in particolare - l’assegnazione a pagamento tramite asta delle quote di emissione assicurerà un’allocazione delle quote più favorevole alle imprese più efficienti e i ricavi derivanti dall’acquisto delle quote, sino ad oggi distribuite gratuitamente alle imprese, saranno un introito per lo Stato da investire in ulteriori misure per contrastare i cambiamenti climatici. Per gli altri settori – come i trasporti e i consumi civili - e per l’incremento delle energie rinnovabili, d’altro canto, la Commissione ha tenuto conto del PIL pro capite, ovvero della effettiva capacità economica dei singoli cittadini di sostenere le politiche di riduzione.
Il fatto che l’Europa abbia scelto il 2005, invece che il 1990, come anno di riferimento per gli obiettivi di riduzione, favorisce in maniera particolare l’Italia. In base agli obiettivi di Kyoto, infatti, l’Italia doveva ridurre nel periodo 2008-2012 le proprie emissioni del 6,5% rispetto al 1990. Con la proposta di direttiva all’Italia viene chiesto di ridurre del 13% rispetto al 2005, nei soli settori non ETS. Riferito al 1990, questo nuovo obbligo significa una riduzione del solo 5,1%, consentendo all’Italia di emettere un volume di emissioni superiore del 1,5% circa rispetto a quelle che avrebbe potuto emettere dal 2008 al 2012 in base al Protocollo di Kyoto.
Se l’Italia avesse fatto bene i suoi calcoli, data la necessità di ridurre le emissioni al 30% anziché al 20%, nel quadro dell’auspicabile accordo globale, anziché contrastare la presente metodologia avrebbe dovuto spingere par accompagnare il pacchetto con una direttiva specifica sull’efficienza energetica nella previsione di un obiettivo quantitativo maggiore.
Nell’attuale situazione, da un lato è evidente che l’Europa non può concedere ulteriori vantaggi al nostro paese, dall’altro è altrettanto evidente come l’alleanza con i paesi dell’Est, tanto decantata, sia puramente strumentale per ritardare il pacchetto, ma poggia su richieste del tutto divergenti. I paesi dell’Est Europa insistono nel chiedere il 1990 e non il 2005 come anno di riferimento per la riduzione delle emissioni. Questo per il nostro Governo sarebbe il peggior esito dei negoziati. Mentre infatti i paesi dell’Est sarebbero avvantaggiati dal riferimento al 1990, per l’Italia rappresenterebbe un target di riduzione più oneroso di quello previsto dall’attuale proposta. L’opposizione dell’Italia al pacchetto energia e clima non è quindi dettata tanto da una riflessione razionale, quanto dalla posizione delle imprese che stanno tentando il possibile per ostacolare le negoziazioni.
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Roma, 24 ottobre 2008
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