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SLA, mix di alterazioni genetiche e fattori ambientali tra le possibili cause di insorgenza
A oggi, alcuni dati indicano che il calcio professionistico può essere uno dei fattori di rischio per il Morbo di Gehrig, ma le vere cause vanno cercate nei geni. In un seminario all’Università Cattolica di Roma neurologi e medici dello sport fanno il punto sulla grave patologia che danneggia i motoneuroni
Gli esperti concordano, nei casi di insorgenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica sporadica, sulla relazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali come intensi sforzi fisici e il fumo di sigaretta.
Sono queste, in sintesi, le conclusioni degli specialisti, medici sportivi e neurologi, che si sono confrontati oggi in occasione del meeting scientifico “Sclerosi laterale amiotrofica e calcio” presso il Policlinico Agostino Gemelli.
L’incontro è stato promosso dalle Scuole di specializzazione in Medicina dello Sport e in Neurologia dell’Università Cattolica di Roma, dirette rispettivamente dal prof. Paolo Zeppilli e dal prof. Pietro Attilio Tonali, e dalla ICOMM, Associazione per la Ricerca sulla Sla (nell’ambito del ciclo dei Seminari di aggiornamento 2008 in Medicina dello Sport della sede di Roma dell’Ateneo del Sacro Cuore).
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose del midollo spinale che comandano il movimento dei muscoli. La morte dei motoneuroni altera la funzionalità del muscolo scheletrico, causando paralisi e atrofia muscolare. I disturbi variano a seconda della parte del corpo colpita, spesso la mancanza di forza è il primo sintomo che può manifestarsi con affaticamento, debolezza di una mano, di una gamba (“ipostenia”) o come debolezza dei muscoli che permettono di parlare (“disartria”) o di deglutire (“disfagia”).
Ma dunque esiste una correlazione tra gioco del calcio e Morbo di Gehrig?
“Sulla base dei nostri studi e delle ipotesi scientifiche oggi più accreditate il gioco del calcio non è di per sé causa della SLA - ha detto Mario Sabatelli, ricercatore di Neurologia alla Cattolica di Roma e Coordinatore nazionale del Gruppo Italiano di Studio sulla Sclerosi laterale amiotrofica - ma solo un verosimile fattore di rischio in individui predisposti a causa di alterazioni genetiche, che comunque sono assai rare. Gli studi dei fattori ambientali - ha aggiunto Sabatelli - hanno una notevole rilevanza perché ci possono aiutare a individuare i possibili meccanismi responsabili della degenerazione dei motoneuroni”. Pertanto il gioco del calcio sarebbe ‘colpevole’ solo in modo indiretto dell’insorgenza della SLA.
Il gruppo del prof. Adriano Chiò, responsabile del Centro Sla del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli studi di Torino, ha avanzato l’ipotesi di una correlazione tra gioco del calcio e Sla. “Sulla base di nostri studi epidemiologici - ha affermato Chiò - abbiamo riscontrato un aumento di rischio di sviluppare la SLA in una coorte di calciatori professionisti italiani, attivi fra il 1970 e il 2001. Lo studio di tale coorte è stato ampliato fino al 2006, riscontrando 8 casi di SLA rispetto a 1,24 casi attesi, con un aumento di rischio di 6,45 volte rispetto alla popolazione generale. Sono state anche studiate due coorti di sportivi professionisti (giocatori di basket e ciclisti professionisti), nelle quali non è stato riscontrato alcun caso di SLA”.
“Lo studio dei calciatori professionisti italiani - ha aggiunto Chiò - sembra dimostrare pertanto un aumento di rischio di sviluppare la SLA, a un’età più giovane dall’atteso (42 anni rispetto a circa 65) e con un particolare aumento del rischio fra i centrocampisti.
È possibile ipotizzare che il rischio osservato sia la conseguenza di una complessa interazione fra fattori ambientali (tipologia di allenamento, sostanze connesse con la cura dei campi di gioco e di allenamento, abuso di farmaci antinfiammatori o di altro tipo) e fattori genetici predisponenti. Sono in corso studi per cercare di identificare i fattori genetici che potrebbero predisporre alla SLA i calciatori”.
Ma quali sono i fattori che la comunità scientifica internazionale a oggi ritiene responsabili del Morbo di Gehrig ?
“In rari casi, si parla del 5%, la SLA - ha spiegato Sabatelli - è una malattia ereditaria e in alcune famiglie è stato individuato il gene responsabile. La grande maggioranza delle forme di SLA, tuttavia, è sporadica”.
“Una delle ipotesi attualmente più accreditate è che anche la SLA sporadica sia una malattia genetica, ma di tipo complesso. È possibile cioè che la causa della SLA sia un difetto di costruzione di un componente dei motoneuroni su base genetica, ma che la malattia si determini solo in combinazione con altri elementi sfavorevoli che possono essere o altri geni o fattori ambientali. Quindi, anche se la causa è genetica – ha affermato Sabatelli - la malattia non è ereditaria perchè si deve verificare la coincidenza di più fattori perché il difetto genetico si manifesti. La SLA sporadica si delinea quindi come malattia multifattoriale, in cui svariati fattori ambientali, in parte già ipotizzati, come l’attività fisica intensa o il fumo di sigaretta, cooperano con fattori genetici predisponenti.”
La SLA, colpendo i motoneuroni, causa paralisi e atrofia muscolare.
“Sia un atleta allenato che un paziente con una grave malattia cronica - ha spiegato il prof. Vincenzo Di Lazzaro, neurologo presso il Dipartimento di Neuroscienze del Gemelli - conoscono bene il significato di fatica. La fatica esprime l’impossibilità di proseguire un esercizio muscolare per un tempo indefinitamente lungo. Durante una contrazione muscolare protratta o ripetuta si assiste infatti a una progressiva riduzione della forza massima che il muscolo è in grado di esercitare”.
“La fatica - ha aggiunto Di Lazzaro -, che rappresenta un fenomeno fisiologico comunemente osservabile nei soggetti normali, è spesso patologicamente accentuata in una serie di malattie neurologiche che coinvolgono il muscolo o, come nel caso della SLA, le vie nervose (i motoneuroni), che trasmettono al muscolo i segnali che ne determinano la contrazione e ne controllano il trofismo.
Le recenti acquisizioni sui meccanismi alla base della fatica muscolare hanno confermato che l’esauribilità legata al consumo dei substrati metabolici non rappresenta l’unico elemento responsabile della riduzione della forza che il muscolo è in grado di esercitare e, verosimilmente, neppure quello prevalente. La necessità di interrompere un esercizio fisico dopo un certo tempo è determinata infatti anche dal livello di attività delle strutture del sistema nervoso che controllano l’organo effettore del movimento. Una serie di dati indica che l’attivazione volontaria dei motoneuroni e, conseguentemente, delle fibre muscolari sviluppa una forza inferiore alla forza massima teoricamente esercitabile dal muscolo e che tale attivazione volontaria si riduce durante la contrazione muscolare prolungata. Questo fenomeno - ha spiegato il neurologo - , definito “fatica centrale” per distinguerlo dai meccanismi “periferici” di esauribilità muscolare, è caratterizzato da una riduzione della frequenza di scarica dei motoneuroni durante l’esercizio e rappresenta probabilmente l’elemento preponderante nel determinare la facile affaticabilità che si verifica nei soggetti affetti da malattie del motoneurone”.
“Oggi – ha proseguito Di Lazzaro - abbiamo a disposizione le tecniche elettrofisiologiche che permettono di studiare più nel dettaglio e in maniera non invasiva i meccanismi della fatica centrale all’interno del sistema nervoso. Tali processi possono consistere sia in modificazioni dell’attività dei circuiti neuronali a livello del midollo spinale, dove risiedono i neuroni direttamente connessi con le fibre muscolari, sia in modificazioni focali dell’eccitabilità della corteccia cerebrale. A tale livello più elevato si stabilisce inoltre una connessione con le funzioni cognitive di ordine superiore, quali gli aspetti emozionali e motivazionali, che pure influenzano la tolleranza all’esercizio fisico.
La fatica muscolare rappresenta pertanto un processo ben più complesso della semplice e intuitiva impossibilità del muscolo di continuare indefinitamente a contrarsi, coinvolgendo una serie di strutture di ordine superiore, la cui funzione può essere compromessa nelle malattie del sistema nervoso”.
Il Meeting scientifico ha ospitato anche la voce di un protagonista del calcio professionistico italiano, Massimo Mauro, oggi apprezzato commentatore televisivo e promotore insieme a Gianluca Vialli della “Fondazione per la ricerca e lo sport”, particolarmente impegnata nella ricerca medica sul Morbo di Gehrig.
A conclusione dell’incontro il prof. Paolo Zeppilli, Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport dell’ Università Cattolica e Medico della Nazionale Italiana di Calcio, ha detto: “Ho voluto fortemente questo Seminario d'aggiornamento, convinto che, considerato l'elevato livello dei relatori partecipanti, da esso scaturiranno informazioni preziose su una tematica di grande interesse scientifico ma anche mediatico”. Ha poi aggiunto – credo che le informazioni avute possano essere in qualche modo "tranquillizzanti" su due aspetti fondamentali: il calcio non fa venire la SLA; attraverso la collaborazione di esperti provenienti dai vari settori della medicina (neurologi, genetisti, medici dello sport, epidemiologici), si riuscirà entro poco tempo a fare piena luce sulla fisiopatologia della SLA e sui possibili rapporti della malattia con il calcio e lo sport in generale.
www.unicatt.it
Roma, 17 marzo 2008
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