Fondi alla ricerca sanitaria: un sistema che non premia i centri più produttivi
I sette Irccs migliori a livello scientifico prendono meno finanziamenti, in proporzione, rispetto agli altri. Lo evidenzia una ricerca del Cergas Bocconi. Sono concentrati soprattutto nel Nord Italia, assorbono oltre l’84% dei finanziamenti per la ricerca sanitaria corrente stanziati dal ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, ma, pur a parità di output scientifico, vi è disparità nella distribuzione dei fondi tra loro: i 7 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) più produttivi nella ricerca, ad esempio, non risultano tra quelli che hanno ricevuto, in proporzione, più finanziamenti. Un sistema, quello del finanziamento per la ricerca corrente, che pur basato su criteri oggettivi, non premia a sufficienza l’eccellenza. È quanto emerge dallo studio del Cergas Bocconi “Analisi del sistema di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia”, elaborato in collaborazione con Assolombarda e Aiop Lombardia e presentato oggi in convegno a Roma.
Nel 2007, il ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ha stanziato fondi per la ricerca sanitaria per un totale di 301 milioni di euro, 223,8 per quella corrente e 77,4 per quella finalizzata (a bando). I maggiori beneficiari dei fondi sono stati i 42 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) allora accreditati in Italia, sulla base, per la ricerca corrente, di criteri tra i quali il più importante è la produttività scientifica. Il criterio principale utilizzato per stabilire tale valore è l’impact factor normalizzato (ifn), che misurala capacità degli Irccs di produrre ricerca di alto livello. Nel 2006, anno in base ai cui punteggi vengono stabiliti i finanziamenti per il 2007, i 42 Irccs italiani hanno totalizzato punteggi di ifn compresi tra un minimo di 86 (Bietti) e 3.398 (San Raffaele). A fronte però di una distribuzione mediana di 7.136 euro per punto di impact factor, le strutture hanno visto valutata la propria produttività scientifica in maniera piuttosto diversificata, con valori tra i 1.792 e i 15.287 euro per punto. Il San Raffaele, ad esempio, ha ricevuto 5.137 euro per ognuno dei suoi 3.398 punti totalizzati. “Il sistema di finanziamento della ricerca corrente si basa su criteri oggettivi”, spiegano Fabrizio Tediosi e Amelia Compagni, i ricercatori del Cergas Bocconi che hanno coordinato lo studio, “ma è ancora troppo complesso e prevede alcuni meccanismi che si prestano ad aggiustamenti discrezionali, di fatto sterilizzando la portata del sistema e non premiando a sufficienza le strutture che da un anno all’altro hanno migliorato la propria produttività scientifica”.
C’è poi un altro problema: gli Irccs sono molto diversi tra loro sia per la loro dimensione, e quindi per la capacità di fare ricerca, sia per il mix di finanziamenti che sono capaci di attrarre. “Il 20% degli Irccs ha ricevuto nel 2007 il 51% del totale dei fondi per la ricerca corrente e il 60% di quella finalizzata”, spiega Francesco Longo, direttore del Cergas. “Sono strutture molto diversificate tra loro, mentre il sistema di valutazione e di finanziamento sembra pensato per strutture simili”. Le soluzioni per rendere ancora più oggettivo e premiante il sistema di finanziamento da parte del ministero? “Focalizzare maggiormente l’attenzione sulla quota di finanziamenti a bando su base competitiva, ossia sulla ricerca finalizzata, ma allungando la durata dei bandi, che dovrebbero essere di almeno 3-5 anni”, commenta Tediosi. “Inoltre, bisognerebbe creare degli schemi di valutazi! one e finanziamento diversificati: uno per le eccellenze di grandi dimensioni, e uno per gli Irccs di piccola dimensione o giovani, di modo tale che questi possano competere tra loro alla pari”.
Ma lo studio del Cergas ha evidenziato alcuni altri aspetti del sistema di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia. Innanzitutto, i fondi stanziati da parte del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali sono ancora troppo pochi: secondo quanto stabilito nel 1992, dovrebbero rappresentare almeno l’1% del finanziamento totale del Ssn, mentre, negli ultimi anni, tale percentuale non ha mai superato lo 0,32%. Questo riflette anche “il ruolo debole che il ministero ha nell’indirizzare la ricerca e nel definirne le priorità. Spostare una maggiore quota di finanziamenti verso la ricerca finalizzata permetterebbe di indirizzare meglio la ricerca sulle priorità del Ssn e, quindi, di esercitare maggiormente quella funzione di commissioning che adesso risulta debole”, spiegano i ricercatori.
Inoltre, dal confronto internazionale con il sistema di Germania, Francia e Regno Unito, “risulta evidente anche l’assenza di coordinamento tra i diversi finanziatori della ricerca e la carenza di sistemi informativi che permettano di monitorare il totale dei finanziamenti e di mettere quindi a punto delle policy precise”, aggiunge Compagni. “Altri paesi, come Germania e Gran Bretagna, sono più avanti da questo punto di vista e si sono dotati o si stanno dotando di specifici strumenti di coordinamento, come la creazione di un’Agenzia nazionale per la ricerca. Nel caso della Gran Bretagna, si tratta di un’agenzia esclusivamente per la ricerca sanitaria”.
Infine, le regioni, la cui parte nel finanziamento alla ricerca è in crescita. “Hanno ancora un ruolo troppo ambivalente”, conclude Tediosi. “Come emerge dal confronto con l’esperienza tedesca, se le regioni vogliono diventare finanziatori importanti, devono chiarire il loro ruolo rispetto allo stato e dotarsi delle strutture e delle competenze necessarie”.
Un sistema, quello dei finanziamenti alla ricerca sanitaria, che secondo la ricerca pecca ancora di due elementi importanti, nonostante sia orientato nella giusta direzione: più coordinamento tra chi finanzia e una politica più precisa e più centrata sulle priorità del Ssn da parte del ministero.