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Anno 7 Numero 337

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Il teatro medievale 

 

di Marina Pinto

Fra tutte le forme espressive di questo antico periodo storico, che sappiamo essere stato lungo ed “oscuro” (così si dice) in tanti suoi aspetti, il teatro rappresenta il più eloquente punto di riferimento delle effettive visioni della vita e della civiltà di allora, forse l’unico sprazzo di verità.
Nei pochi testi ritrovati, ma significativi, si riscontrano modi di vivere e di credere, convivenze di divino ed umano, di fantastico e reale come parti integranti del gioco teatrale. In questo teatro convergono elementi più diversi, ma certo la sua fonte prima rimane il mondo delle necessità, dei canti del popolo espressi con umile linguaggio, l’espressione semplice ma capace di farsi intendere e di perpetuare anche l’inespresso psicologico e sovrumano, ciascuna necessità che si incarna di fatti e di comportamenti quotidiani. In parole semplici possiamo affermare che nel teatro medievale ogni uomo ritrovava i propri desideri e le proprie paure, e si sentiva sicuro di poter affrontare la vita apprendendo da esso regole e contenuti importanti.
E’ certamente la chiesa che appronta il repertorio di questo teatro e che si prodiga per estendere il messaggio culturale, e naturalmente ogni cosa espressa può essere divulgata ed intesa nella dimensione in cui la comprende la massa. Le immagini di Cristo e degli altri protagonisti della storia sacra offrono all’uomo tutto ciò che egli comprende: linguaggio, sofferenze, ansie, modelli di vita e di espressione, speranze e pregiudizi, nessuna altra forma espressiva al di fuori del teatro è in condizione di trasmettere allo stesso modo immediatezza e senso di verità, inteso semplicemente come il sentire e il vivere, l’immaginare ed il realizzare.

In questo contesto la prima forma teatrale vera e propria fu il Dramma liturgico. 

Nella chiesa latina già la Messa, ricca di simbolismi, è fonte di parti dialogate e di accenti drammatici, e, data la potenza del culto, è chiaro come la larga parte dei testi teatrali del medioevo derivi dallo sconfinato repertorio dei Vangeli, da dove sono stati presi innumerevoli spunti ed episodi. 
La divulgazione dei testi era affidata a:
- Dotti, studenti e in genere persone erudite che si occupavano dell’antica letteratura e che producevano opere teatrali nello spirito dei classici greci e latini.
- Scrittori religiosi, che conciliavano le vecchie forme pagane con il nuovo spirito religioso sotto forma di dramma sacro.

Nei primissimi tempi del Cristianesimo i fedeli vegliavano la notte precedente la Pasqua in attesa della reale apparizione di Gesù, più tardi essi si accontentarono di contemplare l’evento nella persona del sacerdote-attore.
L’Uffizio gregoriano attesta che a partire dall’epoca di Carlo Magno l’alba pasquale era preceduta da canti e preghiere nonché dalla rappresentazione degli eventi della Passione inseriti nel cerimoniale della ricorrenza, generalmente diffuso in tutta la cattolicità, e questo tipo di rappresentazione avveniva nelle chiese e nei monasteri, con una grande partecipazione popolare. Si ritrovano di questo genere ben 15 composizioni provenienti da piccoli e grandi centri sparsi in tutta Italia: Montecassino, Nonantola, dall’Abruzzo, dalla Sicilia, da Ivrea, Parma, Sutri, Cremona, Padova, Aquileia Cividale, Bari, Venezia.
Da un manoscritto di San Gallo (Svizzera) leggiamo un testo attribuito a Tutilone (del IX secolo) che racconta la scoperta da parte dei seguaci di Cristo della sua resurrezione. Il testo è inserito nel più arcaico tropario (raccolta di tropi, una forma di canto gregoriano) di San Gallo, e costituisce la prima cellula del più remoto dramma liturgico. 
Esso recita:

Interrogatio: “Quem queretis in Sepulchro Chriticolae?” 

Responsorium: “Jhesum Nazarenum crocifixum, o Coelicolae”

Interrogatio: “Non est hic: resurrexit sicut predixerat
Ite, nuntiate quia surrexit de Sepulchro”.


Da qui le successive versioni dialogate che vedono la partecipazione di veri e propri personaggi, Maria, l’Angelo, i seguaci di Cristo, il popolo esultante, le guardie del Sepolcro.
Esisteva anche un altro genere di teatro, naturalmente più semplice ed immediato, volto al solo divertimento, si tratta del Teatro popolare, dove agivano mimi, attori farseschi e buffoni, tutti in eterno conflitto con i vari divieti, scomuniche e persecuzioni da parte delle autorità religiose, ma mai sconfitto.
E ancora ritroviamo il Teatro dotto in latino, con un carattere letterario, destinato ad ambienti d’élite, un genere non rappresentativo, probabilmente si trattava di una sorta di lettura eseguita in cenacoli ristretti, con la sola partecipazione di un fine dicitore.

Accanto al Dramma sacro e a quello popolare troviamo anche il Dramma misto, dove troviamo il testo che raccoglie elementi volgari accanto al latino. La stessa forma drammatica si umanizza e si arricchisce di elementi profani e perfino comici, eleggendosi a forma di transizione fra la drammaturgia chiesastica e il teatro popolare scritto nella lingua del popolo. 
In Francia esso appare tra i secoli XI e XII, in lingua mista latina e provenzale, e a questo punto il teatro esce dal tempio religioso e si muove verso il sagrato, il portico fino ad arrivare in piazza: è il teatro di massa.
Nonostante il divieto assoluto degli ecclesiastici alle rappresentazioni di questo genere di spettacoli, durante il Basso Medioevo – dopo l’anno Mille - il teatro popolare prolifera per opera di buffoni, dicitori, declamatori, giocolieri, forse attori, che in pratica mettevano in scena una reincarnazione dei classici miti romani, ma rappresentavano anche degenerazioni e scandali: le agapi cristiane si trasformavano in banchetti orgiastici e volgari, con scene in cui si mettevano in forte ridicolo le stesse autorità ecclesiastiche. Tracce di spettacoli di questo genere si sono ritrovati in Svizzera, in Italia e in Germania, oltre che in Francia.
Relativamente alla forma di questi spettacoli questo teatro fissa dei principi che si perpetueranno nei secoli successivi e che costituiscono un importante elemento di derivazione, nonostante le trame ingenue, triviali, istrionesche e persino sensuali, tutti aspetti che determineranno, per ovvie ragioni, la frattura fra il teatro liturgico e il teatro volgare. Frattura insanabile, certo, ma i due teatri avevano – nonostante tutto - una caratteristica comune: la scena multipla. Si tratta della contemporanea presenza di più scene, dove l’attore si muove con accesa fantasia in più luoghi e tempi (per esempio: la casa di Maria a Nazareth, la grotta di Betlemme, il deserto d’Egitto, il tempio di Gerusalemme, il tribunale di Caifa, il Calvario, il Sepolcro, fino al cielo del Giudizio Universale), ed in questo modo il teatro si distacca dalla staticità greco-romana - ormai definitivamente superata - dalla narrazione lunga, dai tempi lenti, dalle movenze statuarie e dai pochi personaggi così come dalla concentrazione su un solo fatto, ed assume una dinamica veloce, vorticosa addirittura, tempi e luoghi diversissimi, azioni ed eventi non raccontati ma rivissuti dai gesti degli attori – tutti non professionisti – in un continuo mutare di scena e di ambiente.

In pratica il teatro medievale – sacro e profano – afferma modi di recitazione che sono in diretta concomitanza con quelli che sono i suoi contenuti, e soprattutto con i fatti narrati, avvenimenti concreti, conosciuti sempre richiamati da precise azioni gestuali.
Questo teatro è ricco di spunti, di didascalie e di suggerimenti scenici, perché concentra tutto sull’azione, e, per contro, il testo risulta secondario, anche perché il pubblico a cui esso si rivolge è un pubblico umile e dalle limitate possibilità, scarsamente preparato a cogliere il solo messaggio verbale, il gesto è senz’altro molto più eloquente e platealmente efficace, è questo un teatro “vivo”, dove quel che conta sono i fatti, le vicissitudini concrete e appariscenti, le reali sofferenze sono rese così più accessibili perché corporali, e non sono solo idee su cose o turbamenti interiori a loro volta fondati su ampi momenti di meditazione, riflessione, confessione eccetera. La parola non basta, il gesto è esplicativo ed esaustivo, proprio quello di cui necessita e che coinvolge lo spettatore. 
Gli attori medievali, spesso occasionali, appartenenti a confraternite o corporazioni piuttosto che a vere compagnie teatrali, recitavano senza lucro, assumendosi quasi una sorta di funzione sociale di trasmettere cultura.
Un esempio importante di teatro medievale francese ci giunge dal troviero Adam de la Halle circa nel XIV secolo, un testo dialogato con musica dal titolo “Jeu de Robin e de Marion”, una storia che racconta di Marion, contadina tentata da un cavaliere che si destreggia dal corteggiamento rimanendo fedele al suo Robin.

Roma, 26 settembre 2008

 

 

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