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Anno 7 Numero 316

Direttore Responsabile Guido Donati

 

I musicisti a tavola 

 

di Marina Pinto

La storia ci racconta che esiste un filo diretto fra i musicisti e la buona tavola, ed è un legame fatto di aneddoti e curiosità, di appetiti leggendari e manie culinarie. Del resto, il gusto per il mangiare bene di molti cantanti lirici (reso evidente dal notevole girovita che essi esibiscono) non è un mistero per nessuno. 

Ma anche tra i grandi compositori del passato – primo fra tutti Gioacchino Rossini, sul quale gli episodi a proposito del cibo sono innumerevoli - sono molti quelli che hanno legato il loro nome al piacere della buona tavola ed anche a succulente ricette. D’altra parte lo stesso Rossini affermava compiaciuto: “Non conosco una occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”. Ed ancora: “Sto cercando motivi, ma non mi vengono in mente che pasticci, tartufi e cose simili”.

La passione di Rossini per la cucina è largamente risaputa, forse però non tutti conoscono le pantagrueliche abitudini mangerecce e i gusti culinari di Johann Sebastian Bach. Certo è difficile immaginare quest’ultimo, così preso dalla dimensione spirituale della sua musica, godere dei piaceri terreni del palato. Tuttavia la sua numerosissima prole, la grossa mole di lavoro che era tenuto ad affrontare quotidianamente come Kantor della chiesa di San Tommaso a Lipsia, nonché la notevole stazza, sono tutti segnali indiziari di un ben considerevole appetito. 
E ne abbiamo le prove. Per esempio, sappiamo che ogni volta Bach si recava in qualche chiesa per collaudare un organo, il suo arrivo era tradizionalmente festeggiato da un lauto pranzo, che era la parte del lavoro che egli preferiva (e si assicurava sempre che detta tradizione non venisse trascurata). E poi, grazie alle fatture che ci sono rimaste, sappiamo anche che acquistava barili di birra in grande quantità e che amava il vino bianco prodotto nelle colline dell’Elba e del Reno e il sidro, prelibate bevande che un suo cugino si preoccupava di fargli inviare periodicamente. In particolare il sidro era il suo preferito, al punto che, una volta, in una lettera di ringraziamento per il premuroso cugino, Bach si lamentò del fatto che durante il tragitto fosse andato perso parte del contenuto: “È tuttavia da deplorare altamente che il barile abbia sofferto per gli scossoni del carro o per altro motivo; perché dopo la sua apertura e consueta ispezione della dogana di qui era vuoto per quasi tre quarti, e secondo la relazione dell’ispettore conteneva solo 6 boccali; è dunque peccato che di questo nobile dono di Dio si debba versare la minima gocciolina”. 

Famigerata è la reputazione di gran mangiatore di Georg Friedrich Händel di cui ci riferisce più di una fonte. Il reverendo Mainwaring, che fu il suo primo biografo e che lo conosceva personalmente, nel 1760 scriveva: “Sarebbe irragionevole costringere Händel alla dieta e alle razioni dell’uomo comune, così come pretendere che un mercante inglese vivesse come un orologiaio svizzero”. 
Il suo amico Joseph Goupy immortalò questa smisurata passione per il cibo in una caricatura dal titolo “L’incantevole bruto”, nella quale il musicista è rappresentato come un grasso maialetto che suona l’organo seduto su una botte e circondato da cibi di ogni genere. Ma la vignetta, in verità davvero spiritosa, non piacque affatto ad Händel, che cancellò immediatamente il nome del suo amico dal testamento. 
La sua fama di eccellente mangiatore è stata tramandata anche da un aneddoto singolare, che racconta di una volta che, arrivato da solo in una locanda, ordinò da mangiare per tre persone; non essendo servito subito chiese spiegazioni del ritardo all’oste, che rispose che stava aspettando l’arrivo degli altri commensali per servire le pietanze. A questa risposta replicò: “I tre commensali sono io. Portate la cena, prestissimo”. 
Mainwaring spiega questa ingordigia del musicista mettendola in relazione allo sforzo creativo che musica gli richiedeva e all’incessante applicazione agli studi dovuta alla sua professione. 

E ci sono naturalmente molti altri episodi che testimoniano il fatto che l’ispirazione passa anche attraverso appetiti sempre più leggendari: per esempio di Claudio Monteverdi si narra che, quando scriveva musica, amasse rifocillarsi con pietanze morbide e delicate a base di carne di maiale. E dato che Monteverdi viveva alla corte del duca Vincenzo Gonzaga, anche lui un gran raffinato degustatore di cibi e bevande, possiamo affermare con una certa sicurezza che i suoi appetiti siano sempre stati soddisfatti da pasti gustosi ed abbondanti.

Ludwig van Beethoven non cenava quasi mai. Naturalmente questo non significa che morisse di fame o che non apprezzasse i piaceri del palato: quando per rilassarsi andava in trattoria con gli amici uno dei suoi piatti preferiti erano i maccheroni con il cacio parmigiano, mentre nella sua zuppa prediletta amava affogare non meno di una dozzina di uova. Inoltre ai piatti di carne preferiva il nasello con patate, annaffiato con pregiati vini austriaci novelli.

Anche Brahms fu un amante della tavola, e non seppe sottrarsi alle sue tentazioni nemmeno nell’ultimo periodo della sua vita, quando, sebbene malato al fegato continuò “a mangiare di buon appetito” a bere “del buon vino di Borgogna in boccali di birra” e a correggere i suoi caffè con il rum. 

Giuseppe Verdi amava moltissimo la pasta, ed inoltre aveva una passione sfrenata per i salumi della sua terra, tanto che ne portava con sé una buona scorta – anzi, una quantità esagerata, perché non voleva rischiare di rimanere senza - nei lunghi viaggi attraverso l’Europa ogni volta che si recava in qualche città per seguire l’allestimento di una sua opera Durante questi spostamenti tali salumi - lo strolghino, il crespone, il cresponetto, il salame gentile e la spalla di San Secondo - erano tenuti ben nascosti affinché rimanessero protetti dagli attenti doganieri, che, ad ogni posto di frontiera, non avrebbero esitato a confiscargli. 

Giacomo Puccini amava molto cucinare per sé e per i suoi amici. Naturalmente nei primi tempi, da giovane studente squattrinato, i suoi pasti non erano ricchissimi tanto che, in una lettera alla madre, si lamentava di mangiare “maletto” e scriveva: “Alle cinque vado al pasto frugale (ma molto di quel frugale!) e mangio un minestrone alla milanese, che per dire la verità è assai buono”. Ma dopo gli anni dei sacrifici venne il successo, e la passione per la caccia gli fece scoprire il sapore forte della cacciagione, cosicché durante i suoi soggiorni a Torre del Lago sulla sua tavola non mancavano mai le folaghe rosolate, che, in seguito, furono chiamate in suo onore “alla Puccini”. 

Roma, 30 aprile 2008

 

 

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