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di Marina Pinto
La vita di Alessandro Stradella è stata oggetto di mitizzazioni e leggende delle più diverse, e la sua figura è nel tempo divenuta il prototipo del compositore “romantico” perseguitato a causa del suo “amore illegale”, quasi a diventare addirittura l’emblema del temperamento passionale del popolo italiano.
Tutto questo è fantasia da una parte, con, però, al suo interno un pizzico di verità: fantasia perché lo Stradella non visse certo in un periodo di grandi passioni artistiche come il romanticismo (morì nel 1682, in piena epoca barocca, quando i compositori scrivevano per la quasi totalità delle volte su commissione e non certo infervorati da alcuna vena artistica personale), e verità per il fatto che in effetti la sua vita non si svolse affatto tranquillamente. In realtà tale appassionata reputazione è stata la conseguenza della divulgazione della vita dello Stradella da parte della letteratura francese, la quale fu sempre generosa di informazioni e notizie infiorettate nel corso dei secoli da scrittori e biografi di grande fantasia e creatività.
Lo Stradella è inquadrato nella storia della musica come fine compositore di opere teatrali, oratori, cantate e mottetti, come virtuoso di violino e violoncello, maestro di arpa, canto e cantante egli stesso, ma è assai improbabile che abbia avuto una grande reputazione come artista canoro perché al suo tempo i più grandi cantanti italiani erano castrati, e lui non figura tra loro.
La storia della famiglia Stradella inizia nel 1575, quando l’agostiniano capostipite Alessio divenne vescovo dei comuni laziali di Sutri e Nepi, dove presumibilmente Alessandro vide la luce, figlio del Cavaliere Marcantonio Stradella di Piacenza, deprivato del titolo nobiliare per aver abbandonato il castello piacentino alle truppe papali durante un assedio nel 1643, dopo aver inutilmente atteso l’aiuto del duca di Modena.
La nascita di Alessandro è datata intorno al 1639, ma in alcune biografie essa risulta invece collocata tra il 1642 e il ’45 e non più a Nepi ma a Vignola, una cittadina sulla strada fra Modena e Pistoia, dove il padre Marcantonio si sarebbe rifugiato dopo la citata sconfitta.
Ma la verità sul luogo di nascita di questo musicista ancora oggi non si sa con esattezza, perché in nessuno di questi luoghi esiste una testimonianza attendibile della sua nascita, così come non ci sono notizie certe di dove visse e dei suoi studi; il giovane Alessandro studiò forse a Bologna, poi fu a Roma intorno al 1667, dove si può ipotizzare che rimase per diverso tempo, perché molte delle sue composizioni contengono allusioni alle nobili famiglie romane che ne ospitavano le rappresentazioni, ed inoltre in quello stesso periodo egli compose oratori, prologhi ed intermezzi nel perfetto stile che si teneva nella città.
La vita dello Stradella non fu certo quella di un compositore alla ricerca del successo o di chi si assoggetta al volere delle autorità per poter comporre opere e musiche dalle quali trovare sostentamento al proprio vivere, ma tutt’altra: infatti, mettendo da parte le fantasie letterarie, egli ebbe davvero parecchie traversie e problemi anche gravi, come quando nel 1669 fu implicato in uno scandalo che lo vedeva accusato di essersi impadronito di alcuni fondi ecclesiastici, vicenda per la quale dovette fuggire da Roma per un periodo sufficiente a far placare gli animi furenti dei suoi accusatori.
La verità di tale vicenda ci è ancora oggi sconosciuta, perché dopo un anno da quell’episodio il nome dello Stradella circolò nuovamente a Roma, dove Papa Clemente X assistette alla sua opera “Il Biante”, la quale, dato il discreto successo riportato, fu forse il suo salvacondotto per un rientro trionfale nella città papalina, ma così non, fu se non per brevissimo tempo, in quanto il compositore cadde presto in disgrazia presso il Cardinale Alderano e fu costretto (di nuovo) a fuggire a Venezia.
La città lagunare fu per lo Stradella la culla delle sue avventure e l’inizio di una brillante carriera, perché si racconta che proprio da lì cominciò la grande vicissitudine della sua vita. Troviamo infatti a Venezia uno Stradella molto impegnato a comporre ed a mettere in scena opere di gran successo, di cui organizzava la messa in scena cantandone anche alcune parti, e tale era la bellezza della sua voce che fece innamorare perdutamente di sé una giovane donna di nome Hortensia, con la quale egli fuggì a Roma (dove gli animi si erano nuovamente rabboniti) tradendo la fiducia del suo protettore veneziano (che era l’amante ufficiale di Hortensia), il quale, roso da insana gelosia, assoldò due sicari per ucciderlo.
I due assassini lo inseguirono, e giunti a Roma seppero che il musicista aveva completato la stesura di un Oratorio che sarebbe stato eseguito nella chiesa di San Giovanni in Laterano, e decisero di recarsi lì per ucciderlo all’uscita della chiesa. Ma la bellezza di quella musica li commosse talmente che essi non ebbero il coraggio di eseguire il terribile mandato, ed anzi esortarono il musicista a fuggire nuovamente per salvarsi.
Stradella si recò allora a Torino, dove, grazie alla protezione della casa regnante dei Savoia, riuscì a salvare la pelle, anche se una notte fu assalito da un’altra banda di sicari inviati questa volta dal padre di Hortensia, che lo aggredirono lasciandolo moribondo a terra. La sua vita si salvò per miracolo, e dopo poco, con il consenso del re, Stradella ed Hortensia si sposarono e partirono alla volta di Genova sperando in un futuro tranquillo lontano da ogni persecuzione. Ma purtroppo l’epilogo non fu felice, perché, appena un anno dopo, i due infelici sposi furono raggiunti ed uccisi entrambi nella loro casa da una terza banda di assassini mandati dall’implacabile veneziano.
Eppure anche questa storia porta in sé dei dubbi, perché alcuni documenti custoditi nell’archivio della città di Modena, riportano notizie diverse sulla morte del musicista, il quale risulta morto assassinato non dai sicari veneti ma da tre fratelli della famiglia genovese dei Lomellini, i quali così vollero vendicare l’onore di una loro sorella sedotta ed abbandonata dal musicista.
È chiaro che una serie così fitta di eventi non potesse rimanere sconosciuta ai biografi ed ai romanzieri del tempo, ed ecco quindi come la figura di questo musicista rimanga singolare nel panorama del tempo barocco.
Eppure, nonostante la storia di quel tempo inquadri i musicisti come operosi artigiani della musica dediti interamente al loro lavoro, lontani da intrighi e nefandezze di qualsivoglia genere, la storia della musica può annoverare fra i numerosi artisti che ne affollano gli anni, molti altri nomi cui la cui sorte decretò destini simili; ci furono infatti molte storie intricate e violente che videro come protagonisti cantanti ed attori di prim’ordine, cui il successo delle scene regalò anche gelosie, invidie, macchinazioni ed epiloghi crudeli. Molti infatti furono coloro che morirono in circostanze misteriose, assassinati da mani ignote rimaste tali anche dopo secoli, oppure sparizioni nel nulla apparentemente senza motivo delle quali è ancora oggi impossibile stabilire la verità.
Quindi lo Stradella, inquadrato come singolare ed unico caso di morte violenta con tutta una serie di implicazioni di tipo politico e personale, è in realtà in buona compagnia da questo punto di vista, ma la cosa più importante che ci ha lasciato è la sua musica, che consigliamo a tutti di ricercare e di ascoltare.
Roma, 23 febbraio 2008
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