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Anno 8 Numero 353

Direttore Responsabile Guido Donati

 

La scrittura musicale 

 

di Marina Pinto

La strada che ha portato alla nostra notazione musicale è stata lunga e tortuosa, un cammino che ebbe inizio quasi nella notte dei tempi; esistono scritture antichissime risalenti al tempo degli antichi babilonesi, dei cretesi e degli egiziani, ma il primo sistema accertato ed interpretato fu quello greco. 
Gli antichi greci identificavano le note del loro sistema musicale con le lettere del loro alfabeto (notazione alfabetica), per le durate invece si basavano sul testo poetico, attraverso la suddivisione delle sillabe in lunghe e brevi. Essi avevano anche inventato il sistema dei “tetracordi”, una successione di quattro suoni discendenti da utilizzare come guida alla composizione di poemi musicali, di canti funebri o di cori di tragedia.
Nel corso del Medioevo la notazione si legò al canto gregoriano, ed inizialmente era semplicissima, pochi elementi grafici, solo qualche segno al di sopra delle sillabe del testo che indicava l’andamento della melodia, se essa saliva o scendeva; tale notazione rendeva riconoscibili i gesti del direttore del coro (notazione chironomica). 
Questi segni furono in seguito chiamati neumi, da cui venne la notazione neumatica: essa nacque circa nell’VIII secolo e si diffuse presto nei vari paesi europei, ma la sua applicazione non fu uniforme ed ebbe uno sviluppo differenziato, tanto che ne troviamo una quindicina di tipi diversi.
I neumi assunsero quanto prima una forma distinta: virga e punctum indicavano la durata dei suoni, ma non la loro altezza, e per definire questo importante elemento del canto si tracciò una linea al di sopra del testo. Fu un passo importante, ben presto le linee divennero due, poi tre e poi ancora quattro, due delle quali distinte tra loro per il colore, rossa per il fa, gialla per il do, agevolando così l’identificazione dell’intervallo intercorrente fra i due suoni. Verso la fine dell’XI secolo si affermò l’uso delle chiavi per indicare esattamente l’altezza della nota posta su una delle linee, che diventava così un riferimento: la notazione era ora completa, di parla di notazione diastematica.
Il problema della durata dei suoni fu un problema che affrontarono i maestri della scuola di Notre-Dame, Leoninus e Perotinus: essi applicarono alla scrittura musicale un’idea presa dalla metrica greca, i segni virga e punctum divennero longa (lunga) e brevis (breve), la seconda aveva una durata pari alla metà della prima. Le frasi musicali avevano una combinazione fissa di lunghe e brevi in un numero limitato di figure, dette modi: questo tipo di notazione si chiama notazione modale.
La nascita della scrittura musicale nella notazione moderna si fa ora più vicina, intorno alla metà del duecento Francone di Colonia introduce le figure di lunga durata, nel suo trattato “Ars cantus mensurabilis” egli stabilisce regole precise per la durata dei suoni e per la loro identificazione, e la scrittura musicale si fa più ricca, libera e complessa (notazione mensurale).
La nascita del vero e proprio rigo musicale risale a Guido d’Arezzo, che propose l’adozione del tetragramma (rigo formato da quattro linee e tre spazi) attraversato da linee verticali che dividevano tra loro le frasi musicali o le parti interne di esse, in parole semplici le battute ritmiche (naturalmente non nell’accezione moderna del termine), fondamentali per una regolare esecuzione dei pezzi musicali. In seguito le quattro linee del tetragramma divennero cinque, e il rigo musicale trovò la sua forma definitiva nel pentagramma.
A Guido d’Arezzo va anche il merito dell’invenzione del nome delle note musicali, prese dalle sillabe iniziali dell’inno a S. Giovanni, e la successione delle note fu la seguente: 

Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli quorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Ioannes

(Traduzione: “Affinché i fedeli possano cantare a gola spiegata le meraviglie dei tuoi atti, libera, o S. Giovanni, il peccato dal labbro impuro”)

(La prima nota – UT – fu successivamente chiamata DO per motivi di fonetica italiana).

Ulteriori perfezionamenti si ebbero con l’Ars Nova francese ed italiana, siamo ora nel Trecento, l’ardire dei nuovi compositori necessita di una scrittura chiara e precisa, man mano che la poesia si trasforma in musica la notazione si arricchisce, si complica ma diventa anche più coerente, i musicisti possono scrivere composizioni varie e complesse, sicuri che gli esecutori potranno interpretare correttamente la loro musica.
Fino al seicento l’evoluzione della notazione e l’evoluzione musicale vanno di pari passo, fino a giungere alla stabilizzazione finale.
Nella musica delle ultime avanguardie occidentali sono in uso nuovi tipi di notazione rispondenti a criteri compositivi e a modi di esecuzione non tradizionali, e sono stati elaborati sistemi di notazione anche per la musica elettronica.

Roma, 14 gennaio 2009

 

 

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