was

                                                                                         

Anno 8 Numero 354

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Leoš Janácek: “Da una casa di morti” 

 

di Marina Pinto

Quest’opera dal titolo più che mai inquietante, fu scritta dal compositore céco Leos Janàcek (1854-1928) nei primi decenni del XX secolo, quando l’autore si sentiva consapevole di essere giunto alla fine del suo percorso artistico e quindi in grado di comporre una sorta di “canto del cigno” della sua vita di musicista. 
Il lavoro fu tratto dal romanzo russo “Memorie da una casa di morti” di Fedor Dostoevskij, e la sua trasposizione nella lingua céca conserva volutamente molte parti nell’idioma originale. L’opera rimase incompleta nella sua stesura definitiva (primo e secondo atto semplicemente approntati e solo il terzo compiuto), a causa della morte di Janàcek, e così sarebbe dovuta rimanere per la sua prima rappresentazione, avvenuta postuma nel 1930. Ma il direttore d’orchestra Bakala ed il compositore Chlubna, decisero invece di modificarne alcune parti, perché nella sua forma originale essa aveva un contesto complesso, una forma scenica assai statica ed un finale del tutto pessimistico (che venne mutato in un’apoteosi di libertà), preferendone inoltre un’esecuzione concertante ad una messa in scena vera e propria.
Tali arbitrari cambiamenti non diedero al lavoro la possibilità di farsi conoscere nel suo primario messaggio, anche se così rimaneggiato esso fu eseguito più volte a Praga ed in alcune città della Germania, fino a quando il clima tedesco della seconda guerra mondiale non ne decretò l’oblio fino al 1958, anno in cui la versione originale venne ripresa dal regista céco Vogel. Tale rispettosa volontà recuperò le primarie peculiarità dell’opera, la quale da quel momento ebbe numerosi allestimenti in tutta Europa.

“Da una casa di morti” è un’opera chiaramente drammatica e di non facile impatto con il pubblico, è un’inconsapevole rappresentazione della condizione umana nella realtà dei campi di concentramento, un messaggio fortemente tragico di una delle più tristi pagine della storia moderna che ha segnato milioni di destini umani. Lo spunto per una siffatta opera Janàcek lo trovò chiaro nel soggetto dostoevskiano, concependolo come un dramma statico, quasi immobile, come la vita quotidiana di quei detenuti, che nel tempo fermo della loro prigionia altro non hanno se non i loro ricordi e le loro confidenze, fino a perdersi nella follia della paura per la sicura morte cui vanno incontro.
Il libretto, di mano dello stesso Janàcek, è costruito secondo un rigoroso principio simmetrico: il primo ed il terzo atto di analoga atmosfera tragica, ed il secondo di bilanciamento, dove l’idea di un “teatro nel teatro” domina completamente la scena. Il significato è nella terribile realtà dell’ambientazione: si giunge in un luogo di morte, si vive in uno stato di prigionia che devasta la mente ed il cuore dove solo le memorie del passato e le primordiali forme di sopravvivenza sembrano in qualche modo sostenere i protagonisti (anche se nella forma fittizia di finzione teatrale), e poi si ritorna nella realtà, e a nulla valgono il ricordo, l’amore, la passione, non ci sono vincitori né vinti, perché la morte annulla ogni pensiero o volontà. Ed ecco che tutti sono uguali e prigionieri, il folle Skuratov, l’assassino Šiškov e Luka, tutti sono nello stesso campo ai margini del mondo, e tutti sono destinati a morire.
La trama, assai dolorosa, è rafforzata nella sua drammaticità da una serie di motivi simbolici che Janàcek lasciò immutati dal testo letterario: il motivo della nostalgia della libertà raffigurato dall’aquila (dapprima incapace di volare e poi libera nel cielo), quello del destino e quello della compassione cristiana, tratti fondamentali per un lavoro di siffatta ed estrema tragicità, esposti con una scrittura musicale che intreccia temi originali a brani di citazioni proprie, dall’incompiuto “Concerto per violino”, del 1924, ad alcuni passi della “Messa glagolitica”, del 1926.

La vicenda. Atto primo: di primo mattino, in un campo di concentramento ad Irtysch, in Siberia, i prigionieri si lavano. Alcuni litigano fra loro, altri invece stuzzicano un’aquila dalle ali tarpate, e tutti attendono l’arrivo di un nuovo detenuto proveniente da Pietroburgo, Petrovich Gorjancikov, che giunge in abiti civili presentandosi come un prigioniero politico. Petrovich viene frustato, ma le sue urla di dolore non riescono a scuotere i prigionieri dalla loro apatia, perché, in quel luogo di sofferenza, il dolore è parte della quotidianità. Il comandante ordina alle guardie di mandare i detenuti a lavorare, ed alcuni di loro si presentano: ecco Skuratov, che ricordando i tempi in cui era un uomo libero a Mosca, inizia una danza frenetica che non cessa fino a che non cade esausto al suolo, poi Luka, che racconta di aver pugnalato un maggiore tirannico e per questo essere stato picchiato a sangue, ed un detenuto più anziano, che non capisce più nemmeno se è vivo o morto, tanto che si chiede quale sia la sua condizione.

Atto secondo: sulle rive del fiume, nella steppa, si festeggia la Pasqua. L’atmosfera appare ora serena, e i detenuti attendono una rappresentazione teatrale. Skuratov racconta di quando si era innamorato di Louise, che però doveva sposare un vecchio parente per volontà della famiglia, ed allora lui si era presentato alle nozze e lo aveva ucciso. Ma anche questa storia non commuove gli altri, che pensano piuttosto all’imminente recita cui dovranno assistere. 
La scena teatrale presenta due pantomime: nella prima Don Giovanni caccia il diavolo che gli sta intorno e ordina al servo Leporello di far entrare Donna Elvira, la quale però non vuole vederlo; interviene un cavaliere, che però cade morto subito, mentre Elvira fugge. Leporello allora rimuove il cadavere del cavaliere e porta al suo padrone la moglie di un ciabattino, che però don Giovanni trova brutta e che quindi manda via. Quindi ordina una cena, e poi vuole incontrare la moglie del pope (il prete ortodosso). Quando però cerca di sedurla giungono i diavoli e lo trascinano via con loro, lasciando Leporello a divertirsi con la donna.
I detenuti ridono alla scena, ed inizia la seconda pantomima. La protagonista è ora una bella mugnaia, che riceve i suoi molti amanti durante l’assenza del marito. Gli uomini si nascondono ogni volta che un nuovo pretendente si affaccia alle grazie della padrona di casa, quando però giunge il marito della donna, che li scopre e li manda via uno per uno. Ma l’ultimo della serie, Juan, si trasforma in un diavolo, e così mutato uccide l’uomo e danza con la di lui moglie fino a che non muoiono entrambi.
Cala il sipario, la rappresentazione è finita, e i detenuti tornano al campo. Il più giovane si rivolge ad una prostituta, Aljeja, e poi litiga con Petrovich scagliandogli contro un samovar di tè, ma colpisce la donna, ferendola gravemente.

Atto terzo: nella stanza dell’ospedale del campo giacciono i malati. Ci sono il vecchio moribondo, la prostituta Aljeja, Luka, Sapkin e Skuratov. Quando è notte e tutti dormono, giunge Siskov, che racconta la propria storia: anche lui ha ucciso la donna che amava, Akulka, promessa sposa di Filka Morozov, il quale, dopo aver incassato la dote della ragazza, si era arruolato come soldato lasciandola sola e senza più sposarla, motivando il suo gesto con il fatto che lei era stata la sua amante. Akulka aveva poi sposato Siskov, ma la prima notte di nozze l’uomo si era accorto che l’accusa di Filka era falsa, perché la ragazza era vergine, ma lei dichiara di amarlo ancora, nonostante la calunnia e l’abbandono, e Siskov allora le dice di pregare e la colpisce con un coltello.
Questo tragico racconto suscita il dolore di Luka, che, per il rimorso del suo omicidio, muore, e proprio in quel momento Siskov riconosce in lui l’odiato Filka e lo maledice per tutto il male che ha procurato con il suo atteggiamento opportunistico e menzognero.
Giunge il comandante Gorjancikov, che comunica a Siskov che la sua domanda di grazia è stata accolta, e che ora è un uomo libero. I detenuti inneggiano alla libertà, e l’aquila si libra nel cielo alta e possente. Ma il momento della sognata e desiderata libertà è interrotto dalle grida delle guardie, che ordinano ai prigionieri di rimettersi al lavoro facendoli ripiombare nella loro tetra vita di reclusi. 

Roma, 24 gennaio 2009

 

 

Antropologia  
Archivio
Eventi
Libri
Medicina

Influenza aviaria
Colposcopia     Microcolposcopia

Dermatologia

Oncologia Dermatologica -Mosh Micrographic Surgery

Ginecologia

Oncologia

Senologia

Sterilità
Teletermografia

Venereologia -Malattie Sessualmente Trasmesse

Modificazioni Etniche dei Genitali  compresa l'infibulazione
Nucleare
Radioprotezione

Scienzaonline
Sessuologia

Shoah
Terremoti Tsunami

Link partner

Medicina venereologia.it
colposcopia.net  microcolposcopia.it
neonatologia.org
teletermografia.it

Scienza scienzaonline paleofox.com dinosauriweb
infozanzare.info

Progetti Umanitari: Aiutiamoli
iismas.it
progettorwanda.it

Varie segnalazioni.blogspot

 

Spirograph

Gli articoli con le Foto più interessanti e gli SFONDI PER IL VOSTRO DESKTOP

I video

Le vostre  e-mail

 

       

Inizio pagina | Home | Media |  Motori di Ricerca |  Meteo   |  WebCam | 

Autorizzazione del Tribunale di Roma n 524/2001 del 4/12/2001 Agenzia di Stampa quotidiana - Pubblicata a Roma - V. A. De Viti de Marco, 50