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di Marina Pinto
La celebrità raggiunta dal musicista Haendel (1685-1759) in Inghilterra non ha limiti né paragoni. Egli fu amato come artista e come uomo, tanto da meritare l’onore di avere una statua della sua figura eretta quando era ancora in vita, un segno di stima che nessun altro compositore ottenne mai. Questa statua, costruita nel 1738, era posta nei celebri Vauxhall Gardens di Londra in un viale centrale di un bellissimo parco immerso nel verde, e quando quei giardini vennero chiusi essa fu trasferita alla National Portrait Gallery, dove si può ammirare ancora oggi.
Ma non basta. Una ulteriore testimonianza della grande popolarità di Haendel è data da una sua biografia redatta ad un solo anno di distanza dalla sua morte da un suo amico, il reverendo John Mainwaring, “Memoirs of the late George Frideric Haendel”, uno scritto da considerarsi come molto attendibile, vista la stretta amicizia fra i due e il fatto che Mainwaring aveva ottenuto da Haendel stesso la maggior parte delle notizie biografiche. Anche quest’evento è da valutare attentamente: nessun compositore prima di lui fu mai oggetto di una biografia.
Dati questi fatti è semplice capire che la morte di Haendel determinò una perdita irreparabile per l’Inghilterra; nemmeno il grande Purcell aveva esercitato tanta influenza nel costume musicale ed artistico del paese, Haendel era considerato l’unico maestro al mondo, il suo genio musicale era, come disse James Harris nel 1744, “il più sublime ed universale che si conosca”, e la sua produzione musicale rimase autorevole per moltissimi anni, paragonabile alle opere di un poeta o di uno scrittore dell’antichità.
La sua musica veniva eseguita costantemente, soprattutto gli oratori, ed apprezzata non solo dai suoi colleghi inglesi contemporanei, anche personalità possenti nel mondo della musica europea futura, tra i quali Haydn, Mozart e Beethoven, che ebbero per lui un grande rispetto, tanto che Haydn lo proclamò “il maestro di tutti noi”, e Beethoven dichiarò nel 1823 che “Haendel è il più grande compositore che sia mai vissuto”. Frasi altisonanti ma certo attendibili, vista la fonte di provenienza.
In breve possiamo dire che Haendel divenne una sorta di monumento glorioso, un classico, un mito a cui fare riferimento.
A differenza di tanti altri compositori dell’epoca barocca, egli quindi non venne mai dimenticato, e la sua popolarità non declinò affatto dopo la sua morte. Le sue opere e gli oratori continuarono a vivere attraverso regolari rappresentazioni, ed ancora si scrissero variazioni su sue arie o cori basati su sue melodie, oltre ad organizzare vere e proprie stagioni d’oratorio in cui tali lavori venivano rappresentati uno dopo l’altro.
Oggetto di vera esaltazione, se non addirittura di fervente fanatismo, divenne il divino “Messiah”, il solo oratorio ammesso a Westminster, ed ancora lungo tutto il XIX secolo la musica handeliana si estese a tutto il mondo anglosassone, comprese le ex colonie americane, tanto lo stesso “Messiah” ebbe un’esecuzione a New York nel 1770, e poi anche ad Amburgo, nella terra natale del compositore, nel 1772, con la direzione di Carl Philipp Emanuel Bach, il figlio del glorioso Johann Sebastian, che mai ebbe la stessa gloria durante la sua vita, nonostante sappiamo bene quale genio egli fosse.
Il fenomeno Haendel non tramontò per decenni, inizialmente le commemorazioni erano fissate due giorni all’anno con la durata di un giorno ciascuna, ma il re Giorgio III volle che ogni anno tali celebrazioni fossero almeno tre, perché bisognava far comprendere al pubblico la potenza di quella musica ed il genio di quella personalità.
Così per il centenario della sua nascita – nel 1785 - fu organizzato a Westminster il primo Haendel-Festival, sotto il patrocinio del re Giorgio III e a cui parteciparono quattromila persone. In quell’occasione fu naturalmente eseguito il “Messiah”, e il “The European Magazin” commentò: “La quantità di voci e strumenti destinato a riunirsi per l’esecuzione del Messiah determinerà un effetto di cui chi è esperto in potenza sonora può avere una idea solo molto imperfetta, e, se anche l’avesse, quando l’ascolterà resterà muto, incapace i esprimere le sensazioni che deve per forza provare, se ha la Musica nell’animo!”.
Da sottolineare che in quell’occasione c’erano sei tromboni, suonati dai militari della banda di Sua Maestà, un controfagotto, forgiato con l’approvazione di Haendel stesso dal costruttore di flauti Stainsby, utilizzato anche per l’incoronazione del defunto Re Giorgio II, ed inoltre si decise di ricorrere ad un rinforzo dei timpani della Torre di Londra (che erano impiegati spesso nelle esecuzioni oratoriali di Haendel) attraverso l’aggiunta di timpani contrabbassi, molto più lunghi e molto più grossi dei comuni strumenti, per non parlare poi del complesso sistema di leve che congiungevano l’organo al clavicembalo, dove sedeva il maestro Joah Bates che dirigeva tutti i musicisti.
Si penserà che tale memoria nei confronti di un genio quale fu Haendel sia dovuta, forse anche scontata, ma così non è. Innumerevoli e sparsi in tutta la storia ci sono musicisti che mai conobbero alcuna fortuna né riconoscimenti durante il corso della loro vita, e che solo dopo la morte ebbero la giusta fama, il legittimo e meritato valore. Basti pensare al grande Bach, che rimase semisconosciuto per buoni ottant’anni dopo la sua morte.
Haendel è stato davvero fortunato, non c’è che dire.
Roma, 14 luglio 2008
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