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di Marina Pinto
L’opera “Orfeo ed Euridice” propone la romantica vicenda del cantore Orfeo, il quale, stravolto dal dolore per la perdita dell’amata Euridice, non vuole arrendersi a tale verdetto sfidando le tenebre della morte per riuscire a riportarla in vita.
Il lavoro nacque dall’incontro fra il musicista tedesco Christoph Willibald Gluck e lo scrittore italiano Ranieri de’ Calzabigi, che avvenne a Vienna nel 1761. L’importanza della collaborazione fra i due artisti risedette nella perfetta aderenza delle opere letterarie del poeta al programma riformistico che Gluck intendeva perseguire nel mondo dell’opera, che a quel tempo si trovava imprigionata in un forzato ed esagerato manierismo che ne comprometteva la qualità.
Il Calzabigi (che scrisse interamente il libretto dell’”Orfeo”) era, come Gluck, molto interessato a scogliere l’intricato nodo che aveva avviluppato la poesia e la musica, e per primo volle impostare il dramma come una vera “narrazione musicale”, dove l’arte dei suoni non soverchiasse la parte letteraria, ma ne esaltasse i momenti più importanti.
A tale proposito egli s’incontrò con il musicista, e di questo riferisce: “Gli lessi l’”Orfeo” e gliene declamai in più volte parecchi frammenti, sottolineando le sfumature della mia declamazione, le sospensioni, la lentezza, la rapidità, i suoni della voce, ora pesante, ora flessibile, di cui desideravo facesse uso nella sua composizione. Lo pregai contemporaneamente di bandire i passaggi, le cadenze, i ritornelli, e tutto ciò che di gotico, di barbaro, di stravagante è stato inserito nella nostra musica. Il signor Gluck aderì ai miei punti di vista”.
Epurato da ogni orpello barocco e da qualsivoglia virtuosismo, il nuovo melodramma si presentava con una veste pulita, chiara, di grande atmosfera e musicalmente perfetta, dove l’intensità drammatica si pone sullo stesso piano della liricità per attrarre l’ascoltatore senza distrarne l’attenzione con esagerazioni di tipo vocale. In questo senso l’opera diventava una “azione teatrale”, nel senso di una storia in musica rappresentata per una ricorrenza importante, così come era nata nel pensiero dei creatori del melodramma, ossia i componenti della “Camerata dei Bardi” della Firenze di fine ‘500.
L’”Orfeo” di Gluck ebbe la sua prima rappresentazione a Vienna al Burgtheater il 5 Ottobre del 1762 per la festa preparata per l’onomastico dell’imperatore, con un semplice successo di stima ed un tiepido consenso da parte del pubblico.
Primo interprete dell’”Orfeo” gluckiano fu il castrato contralto Gaetano Guadagni, un artista del canto aggiornato e moderno, assai preparato e valido dal punto di vista musicale, il quale seppe interpretare alla perfezione il delicato personaggio di Orfeo non tralasciando alcuna indicazione da parte degli autori per quanto riguardava gli accenti, le espressioni e le sfumature del canto, che fu dolce e suadente come doveva essere.
Opera del lutto, ma anche dell’amore, l’”Orfeo” segna il trionfo dell'ideale classico della bellezza (si ascolti in proposito la famosissima pagina del lamento funebre), molto lineare, sviluppata su tre soli personaggi e in poche scene fra loro contrapposte. “Orfeo ed Euridice” è basata sul celebre mito ed è insieme metafora del destino del musicista, solo davanti alla sua arte ma ricco dell’amore per la sua Euridice, e del potere della musica, e il numero ridotto di personaggi (Orfeo, Euridice ed Amore), nonché la semplificazione della trama, rispondono in pieno al programma riformistico del melodramma di Gluck. L'attenzione non si focalizza più sull'intreccio drammatico né sul virtuosismo canoro, bensì sull'atmosfera dei singoli quadri, o episodi, ora idillica, ora cupa, ora fantastica. La ricchezza di motivi di presa immediata, l'unità di ispirazione e l'intensità timbrica ne fanno probabilmente l'opera più riuscita del musicista tedesco, e certamente la più famosa e rappresentata.
Inoltre la storia di quest'opera è quella di un successo tra i più singolari. Anche se alla prima viennese ebbe un riconoscimento piuttosto moderato, in occasione della sua rappresentazione a Parma (nel 1769) essa cominciò ad essere apprezzata, ma fu soggetta nel tempo a diverse versioni. Se a Vienna il ruolo di Orfeo era una parte di contralto affidata a un castrato, a Parma divenne un soprano, e poi, per la prima parigina (nel 1774), Gluck decise per una terza versione, affidando il ruolo ad un tenore.
Dopo la morte del compositore - e con la fine dell'epoca dei castrati - sulle scene continuarono ad essere eseguite tutte e tre le versioni, anche perché la possibilità di utilizzare registri vocali differenti permetteva di scegliere i cantanti a piacere. Infine, nel 1813, a Milano, la parte di Orfeo fu cantata da una donna, mentre a partire dalla seconda metà del Novecento è consuetudine sostituire la voce originale di castrato con quella di un controtenore.
La vicenda: al levarsi del sipario, Euridice è già morta, le ninfe e i pastori piangono sulla sua tomba. Orfeo inizia da solo le sue lamentazioni, cui fa eco la natura.
Il secondo atto si svolge sull'Erebo, dove si ascoltano i cori degli spiriti infernali, il cui furore si placa di fronte alla musica di Orfeo, così che il mitico potere del canto prevale sulla forza bruta e s'incarna in una forma artistica moderna.
La scena successiva si svolge nei Campi Elisi (qui i brani orchestrali sono predominanti).
Nel terzo atto ritroviamo il ritorno di Orfeo dall'Ade con la sua sposa. È la parte finale dell'opera, il tono melodrammatico regala all’ascoltatore dei momenti suggestivi e commoventi attraverso dei brani musicali meravigliosi, come la celeberrima aria cantata dal protagonista “Che farò senza Euridice”.
Chiudono l'opera una serie di danze, puramente decorative, vivaci e leggiadre.
Roma, 18 febbraio 2009
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