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di Marina Pinto
La figura di Santa Cecilia, considerata la protettrice della musica e dei musicisti, è stata celebrata degnamente da Handel con un’ode meravigliosa davvero meritevole di menzione. Il lavoro, il cui testo fu scritto da John Dryden, fu composto nel 1739, ed eseguito per la prima volta a Londra in quello stesso anno nel giorno dedicato alla Santa, ossia il 22 Novembre.
L’ode inizia con una overture strumentale di pregevole fattura, seguita da arie solistiche e cori dove sono evidenti l’agio handeliano nel cimentarsi in una forma musicale così vicina allo stile inglese, anche se diversa da quella dell’oratorio, campo nel quale egli fu maestro assoluto. Nel corso dell’opera troviamo inoltre delle parti originali, come l’aria “What passion cannot Music rise and quell?”, per soprano e violoncello, e la successiva per tenore, “The Trumpet's loud clangour”, dove trombe e timpani sottolineano fragorosamente la solennità della celebrazione interrompendo l’atmosfera mistica creata dall’aria precedente e creando un momento grandioso che non lascia respiro.
L’opera prosegue con una Marcia e una nuova aria per soprano, “The soft complaining flute”, in cui flauto e liuto tratteggiano e seguono la linea del canto con delle melodie estremamente delicate, ritornando così alla quiete ed al raccoglimento adatto ad un lavoro di carattere religioso. In questo punto del lavoro si ravvisa chiaramente tutta la maestria handeliana, laddove i contrasti si evidenziano perfetti: una musica vigorosa e celebrativa si contrappone ad altra delicata ed elegante, e il tutto è perfettamente amalgamato nonostante l’evidente differenza fra i due momenti.
Un incisivo cambiamento di strumentazione e ritmo ci porta ad un momento ancora diverso, ed ecco che inizia l’aria per tenore “Sharp violins proclaim their jealous pangs”, una musica sferzante ed incisiva, cui segue un nuovo momento di raccoglimento, l’aria per soprano ed organo “But oh! what art can teach”, che Handel accompagnava personalmente durante la rappresentazione. Il soprano continua con una nuova aria, “Orpheus could lead the savage race”, con un tema musicale già usato da Handel nel suo precedente lavoro “Musica sull’acqua”, che ha un movimento di danza cullante e pacato.
Naturalmente l’ode è ricca di brani corali, che sappiamo essere il meglio della produzione handeliana. Sono parti musicali luminose, aperte e di gran respiro, dove il coro declama la sua fede alla Santa attorniato dagli strumenti dell’orchestra, con un ininterrotto su e giù di strumenti e voci dove ascoltiamo un momento di sole voci maschili e poi la ripresa del tutti che porta alla conclusione.
Il coro finale, “The Trumpet shall be heard on High”, è accompagnato da un fitto tappeto sonoro di trombe e alternato dagli interventi del soprano, e si chiude con una poderosa e maestosa fuga dove Handel raggiunge la vera grandiosità.
Roma, 19 novembre 2008
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