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Anno 8 Numero 356

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Note di Carnevale 

 

di Marina Pinto

Il Carnevale porta con sé una serie di tradizioni assai antiche. Le sue origini vanno ricercate nelle feste orgiastiche dell’epoca antica chiamate “Saturnalia”, eventi dedicati al dio Saturno che si svolgevano nell’antica Roma. L’etimologia del nome è invece piuttosto incerta, potrebbe derivare dall’espressione “Carnes levare” legata alla Quaresima (ossia il divieto di mangiare carne nel suddetto periodo) oppure da quella “Cursus navalis”, ma a tutt’oggi non si sa quale sia quella esatta.
La caratteristica più affascinante del Carnevale è certo la maschera, un elemento invero assai misterioso legato anch’esso alle leggendarie figure del teatro greco, dove la realtà si mutava in fantasia nel desiderio di riaffermare gli istinti e cancellare le regole, e così la musica, nella sua forma di libera fantasia e creatività, non poteva eludere l’evento del Carnevale fra le sue fonti d’ispirazione, tanto che molti compositori scrissero brani dedicati a questo argomento così ricco di spunti.

Tralasciando i canti carnascialeschi dell’epoca di Lorenzo il Magnifico, musiche assai ricercate di cui però sono rimaste poche tracce (a volte solo i testi), ricordiamo lavori di autori importanti del XVIII, del XIX e del XX secolo.
Per prima presentiamo l’opera “Benvenuto Cellini”, del francese Hector Berlioz, del 1838, dove il Carnevale romano fa da sfondo ad una tragedia di vaste proporzioni e di grande levatura drammatica, un lavoro complesso nella sua struttura che fu molto apprezzato dagli intenditori, nella cui musica la voce dell’autore si leva forte e prepotente ad affermare il suo pensiero rivoluzionario nel campo della musica teatrale. Anche se l’opera è ancora poco conosciuta nel suo insieme, rimane immortale la sua pagina iniziale, chiamata appunto “Il Carnevale romano”.
Dalla stesso contesto prese spunto Johann Strauss figlio per la sua operetta “Der Karneval in Rom”, del 1873, che rimane una delle pagine più interessanti della sua produzione. Nel lavoro la dimensione della festa del Carnevale è abbinata alla trama di un amore impossibile, con uno sfondo di canti e danze dai ritmi veloci e toni vivaci che accompagnano il dramma, senza mai travalicare la visione del Carnevale dal punto di vista storico e del buon gusto.
Ancora la letteratura musicale ci offre un viaggio intorno a questa festa con una Rapsodia ungherese di Listz ispirata al Carnevale di Pest, una delle città che formò Budapest, dove sono poste in primo piano le tradizioni musicali ungheresi miste ai canti ed alle danze tipiche carnevalesche in un virtuosismo trascinante tipico del miglior Listz. 

Ma la città che più festeggia il Carnevale è certo Venezia, dove musiche, canti e balli celebrano l’evento dell’anno come meglio non si potrebbe. Il brano che più rappresenta la festa veneziana è il “Carnevale di Venezia”, composto nella forma del Tema con variazioni da Niccolò Paganini e ripreso da Chopin e Listz con uno stile ormai entrato nella storia. Paganini trattò il brano da vero virtuoso del violino, sfruttando le qualità dello strumento con una tecnica portentosa che solo lui poteva eseguire, così che la musica si muove cullandosi in un andamento di Barcarola che ricorda il moto ondoso e morbido delle gondole che accompagnano le maschere lungo il Canal Grande in un percorso di gioia e spensieratezza tipici del Carnevale stesso.

A seguire troviamo altre opere musicali dedicate al Carnevale. Ricordiamo i balletti “Pulcinella” e “Petrouska” di Strawinskij, in cui folle intere danzano ininterrottamente temi e canzoni popolari comprendenti anche forme italiane, russe e francesi, dove danzano le balie, il contadino con l’orso, le zingare ed il venditore ambulante, tutto in un contesto cosmopolita che non conosce confini geografici e che sa di festa, di magia e di favola, proprio come l’atmosfera del Carnevale richiede. Ed ancora ricordiamo altre opere con le maschere tipiche della commedia dell’arte come protagoniste: “Le Maschere” di Pietro Mascagni”, i “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo (in realtà assai tragica), e l’”Arlecchino” di Ferruccio Busoni”, del 1917.

È chiaro quindi che la cultura latina molto ha preso e ha dato riguardo la festa del Carnevale, mentre la stessa dedizione non appare affatto in terra germanica. Qui infatti i musicisti non hanno celebrato il Carnevale in alcun modo, vuoi per una visione della musica intesa come arte suprema che non si sposa con il divertimento popolare, vuoi per una imperante rigidità dei costumi influenzata dal luteranesimo che non prende in considerazione una festa dalle origini sì pagane.
Ma, anche se queste sono state le regole e le tradizioni, qualcuno sfugge a tanto rigore, e si tratta di Robert Schumann, che ha saputo avvicinarsi alla festa del Carnevale con il suo “Carnaval”, un brano che però disegna un’immagina drammatica del Carnevale sovvertendo drasticamente gli schemi fino ad allora proposti dagli altri compositori. Infatti, nel “Carnaval” schumaniano le maschere di Pierrot e di Pulcinella hanno un che di tragico ed un collegamento con la morte, sono una forma liberatoria dello spirito dell’individuo che elude drasticamente ogni forma scherzosa.

Infine ricordiamo coloro che come primo aspetto del Carnevale colsero lo spirito farsesco e burlone che la festa suggerisce.
Il francese Saint-Saens fu autore di un brano molto rappresentativo del genere, ovvero la suite “zoologica” intitolata “Il carnevale degli animali”, un lavoro dal tono satirico volto a portare in superficie i vizi e le cattiverie degli uomini con sottile ironia ed un gusto della beffa che ben si sposa con il contesto scherzoso della festa (ma, si sa, “a carnevale ogni scherzo vale!”). Il brano fu composto per burla in occasione di una festa in maschera, e l’autore ne vietò la pubblicazione finché fu in vita. Esso infatti fu dato alle stampe postumo, e divenne la sua composizione più famosa.
Ancora l’italiano Giacchino Rossini scrisse “Il signor Bruschino”, rappresentato a Venezia nel 1813 proprio nel pieno del Carnevale, che porta con sé la vicenda di uno scherzo ai danni dell’impresario del San Moisé, dove fu data l’opera, il quale aveva fornito a Rossini un pessimo libretto sul quale il musicista dovette ben faticare per cavarne qualcosa di buono (e Rossini era uno che non amava faticare). Detto libretto fu oggetto di molti scherzi, a cominciare dall’Overture, nella quale Rossini inserì in partitura dei colpi di archetto sui leggii, così da confondere il pubblico – e soprattutto l’impresario – che non si capacitava come suoni così strani potessero far parte di un brano strumentale.

Ecco allora che la festa che in questi giorni si annuncia imminente ha un corredo musicale di tutto rispetto, perché la musica è libertà e gioia, proprio come il Carnevale!

Roma, 5 febbraio 2009

 

 

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