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Anno 7 Numero 332

Direttore Responsabile Guido Donati

 

Ludwig van Beethoven: Sinfonia n.3 op.55 “Eroica” 

 

di Marina Pinto

Il genio di Beethoven (1770-1827) rimane unico ed indiscusso nella storia della musica, la sua grande personalità rimase impressa in chiunque lo conobbe allora, e lo stesso accade ancora oggi a chi si avvicina a lui attraverso la sua musica. 
A proposito di questo è singolare ricordare l’impressione che ebbe di lui Carl Czerny (un pianista e didatta che fu suo allievo) che nel 1801 ebbe modo di avvicinarlo. Czerny era allora un bambino, e raccontò così di aver conosciuto Beethoven: 

“C’era in una camera in disordine, ove stava seduto al pianoforte un uomo che vestiva una gran giacca a peli grigi che faceva pensare al costume di Robinson Crusoe: lunghi capelli ricadevano confusamente attorno al suo capo, la barba era di parecchi giorni, le orecchie erano otturate con batuffoli di cotone intrisi di un liquido giallo… le sue mani erano ruvide e violente, ma appena egli improvvisava non esisteva più che la sua anima”. 

Quei cotoni che otturavano le orecchie di Beethoven segnavano il principio di una tragedia che doveva durare venticinque anni: una sordità che cominciò con incessanti e fastidiosi ronzii, per poi divenire poco a poco atrofia totale dell’udito, ciò che sappiamo fu la tragedia della sua vita.
Beethoven rappresenta la completa incarnazione dell’individuo che accentra in sé tutto il cosmo spirituale, e che concepisce l’universo unicamente attraverso la propria personalità. Il grandioso dramma della Rivoluzione Francese occupa ed illumina tutta sua la gioventù, plasma il suo spirito e ne orienta definitivamente la formazione. Beethoven fu il primo musicista veramente “democratico” della storia, credeva tenacemente in una umanità illimitatamente libera e non vi riconosceva altro segno di superiorità che quello della bontà, né altra legge al di fuori della conquista della serenità per mezzo della sofferenza e del lavoro. Egli era un fanatico partigiano dell’indipendenza nazionale, e sperava fermamente che la Francia realizzasse una sua degna libertà per mezzo di Napoleone Bonaparte, in cui egli vedeva un dio della vittoria, ponendo così le basi della felicità umana.
All’epoca del “Testamento di Heiligenstadt”, del 1802, Beethoven si preparava ad un impegno di grandi proporzioni: la creazione della Sinfonia n.3 detta l’“Eroica”. Fu composta nel 1803, e la sua prima esecuzione avvenne in forma privata nel salone del Palazzo Lobkowitz a Vienna, con un’orchestra di soli 28 esecutori che lavoravano stabilmente presso il principe cui la Sinfonia venne dedicata per quella occasione; la prima esecuzione pubblica invece dovette aspettare il 1805 al Theater an der Wien.
Il distacco che separa questo lavoro dai precedenti rappresenta il maggior balzo in avanti che mai un artista abbia compiuto in una volta sola.

E’ noto che l’“Eroica” fu in origine consacrata a Napoleone, nel quale Beethoven vedeva l’erede ed il continuatore della Rivoluzione Francese, ma egli cancellò le parole “Intitolata Bonaparte” quando nel 1806 apprese che il suo eroe si era fatto incoronare imperatore, sostituendo alla prima dedica una nuova, di sapore tragicamente ironico: “Sinfonia Eroica, composta per festeggiare il sovvenire (sic) di un grande uomo”. Il rappresentante delle libertà rivoluzionarie che aveva tradito ogni aspettativa schierandosi dalla parte dell’autorità costituita, veniva quindi sostituito da un generico ma idealizzato eroe, simbolo dell’uomo in lotta per la libertà (vediamo nella figura allegata la cancellatura sulla prima pagina della partitura autografa).

La Sinfonia inizia con due accordi, poi inizia il primo tema (Allegro con brio), che non sembra avere un carattere eroico, ma è lo spunto per un complesso lavoro di sviluppo che non ha precedenti nel campo sinfonico. Molto interessante è l’aspetto ritmico, un andamento ternario (in ¾), un fatto inconsueto per un primo movimento di Sinfonia, soprattutto per questa Sinfonia che ha così spiccato in sé il carattere di marcia idealizzata (infatti il tempo di marcia è in 2/4): una marcia in tre sembra un controsenso, ma Beethoven sfrutta questa apparente contraddizione modificando continuamente il regolare pulsare delle battute, spostando gli accenti e dando così un’idea di movimento e di dinamismo sempre più forte, inventando in questo modo qualcosa di totalmente nuovo. Questa perizia di scrittura governa tutto il primo tempo.

Nel secondo tempo ascoltiamo una “Marcia funebre”. Difficile spiegare i motivi dell’introduzione di un tale genere come movimento lento all’interno di una Sinfonia, ma i termini non devono suggestionarci: la tendenza al linguaggio patetico, alla scoperta di un segreto potere evocativo della musica sfocia qui in una idealizzazione sinfonica della marcia funebre come testimonianza di una incrollabile fede nell’umanità, tanto che nella parte centrale del movimento ascoltiamo toni di esaltazione irrefrenabili, e dopo momenti calmi di preghiera dolorosa ed intimista. Non è improbabile che la “Marcia funebre” sia stata ispirata dai grandiosi funerali in onore del generale Hoche, una cerimonia degna e solenne, da cui Beethoven maturò l’idea melodica epica, funebre e guerriera che ascoltiamo in questo secondo tempo.

Il terzo tempo è lo “Scherzo”, una geniale maturazione degli elementi e delle intuizioni melodiche presenti nelle prime due Sinfonie (dalla prima Beethoven riprende l’animazione ritmica, dalla seconda l’orchestrazione).

Il finale, “Allegro molto”, è costruito sulla forma del tema con variazioni, uno stile molto amato dai classici ma poco usato all’interno delle sinfonie, uno spunto semplice che dà vita a complesse trasformazioni ritmiche e contrappuntistiche.

Ecco raffigurato l’andamento della Sinfonia “Eroica”:

       Allegro con brio

       Marcia funebre

   Scherzo

    Allegro molto (Tema  con variazioni)

         Primo tempo

      Secondo tempo

Terzo tempo

                   Quarto tempo



La Sinfonia “Eroica” rimane – oggi più che mai – un modello ineguagliato di come possa un artista interpretare la contemporaneità storica, anteponendo sempre le esigenze dell’arte a quelle di un servile ed inutile descrittivismo, dettato nella maggior parte dei casi da un opportunismo politico e niente altro. 

Roma, 20 agosto 2008

 

 

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