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di Walter Pasini
Quali deve essere l’atteggiamento dell’Occidente di fronte alla
catastrofe che ha colpito i paesi che si affacciano sul Golfo del
Bengala?
L’immane catastrofe naturale impone ai paesi più sviluppati come
USA, Giappone, Canada, Francia, Regno Unito, Italia e Germania
l’obbligo di un intervento a sostegno delle popolazioni colpite che
non si esaurisca con l’emergenza.
L’inondazione aggrava terribilmente una situazione sanitaria già
contrassegnata dalla presenza di malattie come la malaria, le
malattie respiratorie acute e quelle diarroiche cui si sono aggiunte
negli ultimi anni quelle che prima erano considerate peculiari dei
paesi occidentali come le malattie cardiovascolari.
Oltre alle migliaia di perdite umane, alle distruzioni di case e
infrastrutture, paesi come l’India, lo Sri Lanka e l’Indonesia
possono venir ulteriormente devastate da epidemie come il colera e
la febbre tifoide per la difficoltà di quelle popolazioni ad
accedere a fonti di acqua pulita e per la presenza di centinaia di
migliaia di sfollati.
Colera, epatite A, febbre tifoide, malaria e dengue sono malattie
endemiche in quelle regioni del mondo ed alcune di esse, come il
colera rappresentano l’espressione chiara del sottosviluppo.
Gli interventi umanitari dovranno pertanto privilegiare
l’approvvigionamento di acqua pulita e di cibo sicuro, ma anche il
ripristino della rete idrica e di quella fognaria. Se soccorsi
rapidi ed efficienti possono risparmiare molte vite, solo interventi
a medio-lungo termine possono garantire prospettive di buona qualità
di vita, specie per i bambini di quella regione del mondo.
In campo sanitario, i paesi sviluppati possono mettere a
disposizione di quelli in via di sviluppo non solo farmaci e
vaccini, ma anche le conoscenze in materia di prevenzione e cura
delle malattie e le competenze dei propri professionisti, medici ed
ingegneri in primo luogo.
Creare acquedotti che portino acqua pulita alle popolazioni,
sostegni fognari efficienti rappresenta la priorità assoluta, ma
occorre prevedere piani a lungo termine.
La globalizzazione economica, l’incremento dei viaggi internazionali
e delle tecnologie informatiche avvicina sempre più gli uomini dei
diversi continenti e pone la necessità di pensare ed agire in
termini internazionali facendosi carico anche delle difficoltà di
altri paesi.
Anche il medico dei paesi occidentali, come recentemente messo in
evidenza dalle epidemie di SARS e di influenza aviaria, non può più
prescindere dal conoscere i problemi sanitari di altri paesi, di
“pensare globalmente ed agire localmente”, di sentirsi soldato nella
battaglia della sanità mondiale, coordinata in primo luogo dall’OMS,
contro le principali malattie del nostro tempo, quelle cosiddette
emergenti e quelle antiche.
In questo contesto è necessario che i paesi sviluppati “adottino”
paesi in via di sviluppo, realizzino gemellaggi o “country projects”
per mettere a disposizione di quei paesi conoscenze, tecnologie,
capacità professionali, mezzi economici per migliorarne le
condizioni economiche, ambientali, igienico-sanitarie con benefici
indiretti anche per i propri cittadini.
In recenti incontri con il ministro della Sanità indiana, Ramadoss,
e con rappresentanti cingalesi dell’OMS e con alti funzionari
dell’Indonesia ho discusso della possibilità di creare gemellaggi in
campo sanitario tra l’Italia e quei paesi. In considerazione del
fatto che lo Sri Lanka sembra essere senza dubbio il paese asiatico
più colpito dall’inondazione e che la sua estensione geografica è
ridotta, ritengo sia entusiasmante pensare che il Governo italiano,
così attento alla politica internazionale ed alla solidarietà,
stabilisca con il Governo di quel paese un accordo di collaborazione
per i prossimi anni assumendosi l’onere di contribuire in modo
duraturo e continuativo al suo sviluppo, oltre l’emergenza attuale.
*Dr Walter Pasini
Direttore Centro OMS
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29 dicembre 2004
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