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di Anna Maria Daniele
Con la legge n. 66 del 1996 è stata approvata la riforma dei reati
in materia sessuale.
Il primo punto di riforma è la collocazione degli stessi tra “i
reati contro la persona”, piuttosto che tra i “reati contro la
moralità pubblica”, in conseguenza del fatto che la libertà sessuale
è un corollario indefettibile della “libertà individuale”. Le novità
che ne sono derivate sono state tante e sostanziali.
Il reato di violenza sessuale può essere commesso mediante azione
diretta (violenza, minaccia, abuso di autorità) o mediante induzione
(abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della
persona offesa, inducendo taluno a compiere o subire atti sessuali,
traendo in inganno la persona offesa, per esservi il colpevole
sostituito ad un’altra persona).
Può concretizzarlo chiunque. Il soggetto passivo può essere uomo o
donna (non sono esclusi nè il proprio coniuge, nè soggetti dediti
alla prostituzione). Per atto sessuale si intende non solo la
congiunzione carnale ( su cui si incentrava la vecchia disciplina),
ma anche atti di libidine, che si concretano in ogni forma di
contatto corporeo diversi dalla penetrazione, che rappresenta
equivoca manifestazione di “ebbrezza sessuale”. Da ciò si deduce che
il reato di atti di libidine sia ora accorpato nel reato di cui si
discute. Elemento costitutivo per la configurazione della violenza è
il dissenso della persona offesa.
Se sussistono particolari circostanze come l’utilizzo di armi, di
sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o
sostanze atte a ledere gravemente la salute della vittima, come
violenze in danno a persona che non ha compiuto ancora anni
quattordici e altre, la pena è aumentata. Articolo a parte
disciplina il reato di violenza sessuale in danno a persone che al
momento del fatto non avevano ancora compiuto “quattordici anni”, o,
comunque, “sedici anni” quando il colpevole sia ascendente, genitore
adottivo, tutore o persone, cui per ragioni di cura, di educazione,
di istruzione, di vigilanza, o custodia, sia a lui sottoposto, o che
abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza.
In quest’ultimo caso il legislatore predispone una presunzione di
incapacità di una consapevole prestazione del consenso al compimento
di atti sessuali. Si parla, infatti, di violenza sessuale presunta.
Mi spiego meglio: se ad essere violentata è una persona di età
inferiore ai quattordici anni (o sedici nei casi precedentemente
richiamati), il soggetto che è stato accusato di violenza, una volta
che si sia dimostrata e la congiunzione carnale e gli atti di
libidine, non può non sottrarsi alla responsabilità, perché appunto
si presume che la vittima non sia capace di prestare il consenso
richiesto. Se il soggetto violentato è maggiorenne, è su questo che
grava l’onere di provare la mancata volontà all’atto sessuale. Se si
trova tra un’età compresa tra il primo e il secondo caso , l’onere
di provare il consenso sussiste in capo al colpevole. La vittima
deve solo denunciare il fatto oggettivo dell’atto sessuale.
In realtà, queste sono solo alcune delle modifiche. Altre sono la
procedibilità a querela che è irrevocabile, diversamente da altri
casi di reato per i quali la querela può essere, fino ad un certo
termine, rimessa. Per alcune condotte sessuali si procede d’ufficio,
cioè senza bisogno che la persona offesa denunci, basta che
l’autorità giudiziaria sappia del reato e procederà automaticamente
contro il presunto colpevole. Si aggiungono tante norme relative
alla riservatezza della vittima. È, inoltre, stato introdotto il
reato di stupro di gruppo e il parziale riconoscimento della
sessualità tra minori.
Le modifiche sono veramente tante. Questa è, in vero, solo una
brevissima trattazione di un fenomeno così vasto e complesso che sta
assumendo una dimensione sempre più allarmante e triste. Tale legge
è, comunque, un primo passo per arginare, si spera, questo fenomeno.
Per chi è interessato ad un approfondimento ulteriore può leggere,
per cominciare, gli articoli dal 609 bis al 609 decies del codice
penale.
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