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di Marina Pinto
“Ordino che i miei funerali siano modestissimi e si facciano allo spuntar del giorno o all’Ave Maria di sera, senza canti e suoni. Basteranno due preti, due candele e una croce”.
Queste le ultime volontà di Giuseppe Verdi, morto a Milano il 27 Gennaio 1901 alle 2,45 del mattino. Con lui si trovavano i parenti e gli amici più stretti. Tali disposizioni del musicista, colto da una paralisi cerebrale il 21 Gennaio nell’appartamento al primo piano del Grand Hotel de Milan e spirato pochi giorni dopo, vennero rigorosamente rispettate, come testimoniò il chierichetto della chiesa di San Francesco da Paola che partecipò al funerale:
“Il trasporto funebre si svolse in una brumosa mattina, con il carro funebre di terza classe tirato da un modestissimo cavalluccio, davanti al quale era il sacerdote Don Modesto Gallone, accompagnato da un solo chierichetto. Il corteo riusciva a stento a procedere per la fittissima folla che faceva ala per la via Manzoni… Non un canto, non il benché minimo rumore, regnava un silenzio impressionante. Tutti si scoprivano al passaggio dell’umilissimo corteo, e i commenti sul contrasto tra la gloria dell’esistenza e la bassezza di quella traslazione si facevano più con gli occhi che con le parole”.
Perché tali misere volontà su quel suo ultimo viaggio? Eppure Verdi sapeva di essere un uomo molto amato. Sarebbero mille gli aneddoti sulla vita di questo compositore cui attingere per poter abbozzare i tratti di un carattere di per sé assolutamente riservato come il suo: scorbutico, irriverente, a volte altero e superbo, sostenitore di un liberalismo di stampo laico e massonico, ed anche anticlericale dichiarato, al punto di non perdere mai occasione per abbandonarsi a giudizi sarcastici sull’istituzione ecclesiastica («Sta’ lontan dai preti» era uno dei suoi detti più citati), e uomo dalla grandissima umanità.
Non appena la morte di Verdi fu annunciata, una folla si raccolse sulla strada di fronte al Grand Hotel, che venne ricoperta di paglia in modo da smorzare lo scalpiccio degli zoccoli di cavallo e il frastuono delle ruote dei carrozze che passavano. Nel giro di ventiquattro ore tutti gli stendardi di Milano vennero listati a lutto, così come le edizioni speciali pubblicate dalle maggiori testate giornalistiche. In segno di cordoglio i negozi, i ritrovi e i teatri della città rimasero chiusi per tre giorni consecutivi, mentre il Senato Italiano e la Camera dei Deputati (della quale Verdi stesso una volta era stato membro) si preoccuparono di organizzare i preparativi per dar degno omaggio a questo grande uomo.
Non ci furono soltanto manifestazioni di sconcerto e dolore per l'enorme perdita, ma anche momenti dedicati alla celebrazione della statura di Verdi come uomo, musicista e cittadino italiano, un personaggio che non aveva semplicemente vissuto in un'epoca storica fondamentale per la nazione italiana, ma che in un certo senso l'aveva anche caratterizzata.
Quella mattina, dopo il mesto e silenzioso rito funebre, il popolo, che aveva seguito con ansia incredibile la sua agonia, volle salutarlo, testimoniando tutta la devozione che aveva nel cuore.
Il governo decretò che le spoglie di Verdi e della sua amata compagna Giuseppina Strepponi fossero entrambe traslate il trentesimo giorno dalla morte del maestro dal Cimitero monumentale alla Cripta della Casa di Riposo per musicisti fondata da Verdi stesso, forse una delle sue più belle opere. Così fu. Il 27 Febbraio, alle otto del mattino, le due salme vennero esumate e deposte su di un carro monumentale costruito espressamente per quella circostanza.
Ma quel giorno le cose andarono diversamente: una folla immensa, più di trecentomila persone, sventolò ininterrottamente fazzoletti tricolori applaudendo ed inneggiando. E prima che questo grande corteo si fosse avviato, giunse Arturo Toscanini, che diresse novecento coristi accompagnati dall’orchestra del Teatro alla Scala nel coro “Va’ pensiero” dal “Nabucco”, davanti alle massime autorità dello Stato e ai musicisti che erano presenti, e cioè Puccini, Mascagni, Leoncavallo e Cilea.
La morte di Verdi segnò la conclusione di un'era della vita italiana; l'apoteosi di quella celebrazione coincise invece con l'inizio della parabola crescente della fortuna dell'opera sua, mai come oggi viva ed attuale sulle scene di tutto il mondo.
Roma, 24 ottobre 2007
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