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di Marina Pinto
Immaginiamo un grande scoglio che affiora dal mare, una fila di cipressi scuri, due leoni di pietra ed una barca accostata con a bordo una figura che è un’ombra. Questa è l’immagine del quadro intitolato “L’isola dei morti”, del pittore Bocklin, che lo dipinse nel 1880 mai pensando che sarebbe diventato un simbolo dell’arte del primo Novecento.
L’intenzione del pittore era infatti quella di creare un quadro che facesse sognare e riflettere, tanto che affermò che “chi guarda il quadro deve avere timore di disturbare il solenne silenzio con una parola espressa a voce alta”. Ed in effetti il quadro ci suggerisce il silenzio, l’immobilità e l’ineluttabilità della fine della vita, ed anche, forse, la sua bellezza, così che ognuno, nel perfetto silenzio dei propri pensieri, può proiettare su quell’immagine i sentimenti inconsci relativi al problema della morte.
Il quadro di Bocklin fu visto da molti, e da altrettanti apprezzato. Sappiamo che Freud ne aveva una copia nel suo studio, Lenin lo teneva appeso nella sua stanza da letto, D’Annunzio, evocandone l’immagine, fece piantare dei cipressi nel parco del Vittoriale, Dalì e De Chirico lo citarono spesso nei loro lavori, Stridberg ne fece un fondale per la scenografia di un suo dramma, lo scrittore Majakovskij ne fece accenno in alcune sue poesie, addirittura Hitler amò molto il dipinto, ed infine, nel 1899, ci fu il compositore russo Sergei Rachmaninov che lo celebrò con un poema sinfonico.
Questa composizione è travolgente e piena, come tutte le musiche di Rachmaninov, ma ha in più un dettaglio rivelatore che ne fa un assoluto capolavoro: si tratta del Tema principale, una frase che contiene un riferimento ai terrori dell’oltretomba ricavata da una sequenza liturgica medievale del Dies irae.
Il medesimo Tema si presenta più volte, come un pensiero ricorrente, una ossessione paurosa, e non solo nella stessa composizione ma in altre quattro opere dello stesso autore, a sottolineare la sua importanza dal punto di vista musicale e la centralità che il tema della morte assunse per lui nei suoi ultimi anni di vita.
“L’isola dei morti” di Rachmaninov è un singolare e potente poema sinfonico, musicalmente perfetto nella sua costruzione formale ma assolutamente disperato nella sua essenza, così come fu il suo autore, che nella vita passò un tale momento di depressione dalla quale uscì solo con l’ipnosi.
Il brano fu presentato al pubblico in un concerto nel 1901, ed in quell’occasione un amico fece osservare a Rachmaninov come quel Tema ossessivo sembrasse non proprio il momento centrale della composizione ma quasi un’introduzione ad un secondo movimento. Rachmaninov lo ripeté al pianoforte e poi rispose: “Ma perché diavolo me lo dici solo oggi? E adesso come faccio?”. Lo lasciò così, ed è il Tema più amato di tutto il brano.
Roma, 23 gennaio 2008
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