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di Marina Pinto
Quando si parla di musica celtica l'aspetto più problematico è proprio l'uso di questa etichetta. I veri conoscitori di questo genere musicale non amano il termine "celtico", perché troppo legato a quei sottoprodotti della musica New Age fatti di estenuanti tappeti sonori di tastiere, cornamuse campionate e cori druidici. Ma chi conosce ed ama davvero questa musica sa che invece essa è fatta di danze travolgenti, di semplici e struggenti melodie, di epiche ballate e di molto altro fa parte di una tradizione antica poco conosciuta ma molto vissuta.
La fortuna della musica celtica in Italia risale all'inizio degli anni Settanta ed è legata alla diffusione del movimento del folk-revival. All'inizio si ascoltavano soprattutto i gruppi irlandesi come i Chieftains, i Planxty, o i Dubliners, ma poi sono arrivate anche da noi le suggestive atmosfere bretoni di Alan Stivell o le vivaci danze galiziane di Carlos Nuñez. Ma oltre ad ascoltare questa musica gli italiani hanno ben presto cominciato a suonarla, esercitandosi in interminabili session nei pub, tra un boccale di birra e l'altro; la diffusione è stata enorme, tanto che oggi, da Milano fino a Catania esiste un fitto tessuto di gruppi amatoriali e professionisti, e, perché no, anche un gran numero bande di cornamuse professionali sul modello di quelle scozzesi e bretoni.
Il cuore di questa tradizione musicale è costituito da un vasto repertorio di danze: jig, reel, strathspey e hornpipe in Scozia e Irlanda, gavotte in Bretagna, muñeira in Galizia. Anche il mosaico degli strumenti è particolarmente variegato, violino, arpa, flauto traverso, tin-whistle (un flautino di metallo dalla voce acuta), banjo e chitarra. Da diversi anni figura nei complessi anche una particolare variante del bouzouki greco, riadattato dai liutai irlandesi e reso celebre da interpreti come Donal Lunny e Alec Finn. Poche le percussioni, ma dal suono inconfondibile: il bodhran, il tamburo a cornice dal suono sordo e martellante come il battito cardiaco, e i cucchiai (anticamente le ossa), impiegati con una tecnica che ricorda quella delle castagnette.
Un discorso a parte meritano le cornamuse nelle mille varianti locali, dalla possente highland pipes scozzese al minuscolo e stridente biniou bretone, dalla delicata e cortese northumbrian pipes alla incisiva gaita galiziana. Tra tutte la più versatile e complessa è certamente quella irlandese, la uillean pipes, dotata anche di particolari chiavi che permettono di realizzare degli accordi.
Non si dimentichi poi il repertorio vocale, spesso in gaelico, con le ballate d'amore, i canti delle rivolte giacobite e dell'indipendenza irlandese, le saghe dei marinai, le spacconate degli ubriachi.
Non una sola musica quindi, ma tante musiche che ci raccontano l'anima di uno dei popoli più antichi d'Europa.
Roma, 3 ottobre 2007
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